Il primo impeto democratico del giovane cittadino ticinese

Il primo impeto democratico del giovane cittadino ticinese

A nome del Consiglio di Stato Vi porgo il saluto e Vi ringrazio per l’invito a partecipare a una commemorazione così significativa. Vi sono momenti ed eventi della storia che vanno celebrati e tramandati di generazione in generazione, perché il nostro essere attuale riflette un’evoluzione che ha radici ancorate nel nostro tempo. In un periodo di difficoltà economica, d’instabilità sociale e di percepita insicurezza, valorizzare la nostra storia significa trasmettere il nostro spirito alle nuove generazioni.

Nel 1814 a Giubiasco si scrisse una pagina di rilievo di storia ticinese.  Con la caduta di Napoleone Bonaparte, i Cantoni dovettero ripensare le loro Costituzioni in cui si dovevano conciliare le conquiste derivanti dalla Rivoluzione francese e l’adeguamento alla nuova realtà politica con le vittorie delle forze “restauratrici” convenute nel Congresso di Vienna. E in tal senso i vari progetti costituzionali presentati dal giovane Canton Ticino furono tutti respinti dalla Dieta federale, sino alla realizzazione di un modello costituzionale imposto dall’esterno, presentato senza dare ai cittadini la possibilità di pronunciarsi.

In reazione a ciò, in nome del diritto alla Libertà e alla Democrazia, proprio qui a Giubiasco molti Ticinesi si riunirono per dirigersi verso Bellinzona per protestare contro una Costituzione considerata oligarchica e antidemocratica, in cui predominava una confusione di poteri. Tra cadute di governo e nuove Costituenti, si arrivò all’affermazione del Governo dei Landamani e la conseguente imposizione del progetto costituzionale elaborato dalla Dieta federale.

Quella di Giubiasco fu quindi una breve rivoluzione, ma che accese quello spirito necessario alla realizzazione di un moderno Cantone, che si realizzò solo con la caduta del regime dei Landamani.

Tutta la nostra storia è caratterizzata dalla difesa dei nostri diritti e solo ideali forti di Libertà ci hanno permesso di superare indenni momenti cruciali proseguendo il cammino verso la totale affermazione dei principi democratici. L’edificazione del nostro Stato cantonale non fu facile. Le sorti delle terre ticinesi già nel 1798, con la Repubblica Elvetica, come nel 1803, con l’Atto di Mediazione, furono decise da vicende esterne.

La Repubblica Elvetica trasformò i sudditi in cittadini e molte leggi prefigurarono l’avvento dello Stato moderno, abolendo il protettorato dei Cantoni sovrani su territori vassalli, affermando il suffragio universale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, proclamando le libertà di pensiero, di circolazione, di commercio, separando i poteri dello Stato, ma la nuova Costituzione non si conciliava con le antiche tradizioni federaliste e con il sistema dell’autogoverno regionale. Le nuove leggi dello Stato avevano privato il Popolo delle antiche autonomie.

Con il successivo Atto di Mediazione, Napoleone decretò la parità tra gli Stati cantonali, sopprimendo sudditanze territoriali, privilegi di luogo, di nascita, di persone o di famiglie. Furono così gettate le basi per la costruzione della Svizzera moderna, nella quale ogni Cantone poteva determinare, almeno in parte, ritmi e modalità della sua integrazione.

Nel 1803 il Canton Ticino nasceva ancora però come una fragilissima collezione di territori giustapposti e di popolazioni litigiose che non si riconoscevano né in una patria comune né in una comunanza di interessi. All’unificazione degli spazi e delle leggi non corrispondeva l’unificazione delle coscienze “distrettuali”. Le strutture dello Stato cantonale c’erano, le leggi si facevano, ma mancava la loro legittimazione perché priva di un reale cittadino ticinese. Si trattava di costruire una coscienza cantonale, di amalgamare popolazioni tra loro vicine ma estranee per leggi, usi, costumi, promuovendone lo sviluppo economico e sociale in tutte le sue forme.

Obiettivi che la politica del Governo cantonale tentò di perseguire, ma la caduta di Napoleone interruppe la fulgente crescita del nostro giovanissimo Stato cantonale.

Ed ecco il valore della commemorazione di oggi: con la rivoluzione di Giubiasco il Popolo iniziò ad agire con un maggiore senso di appartenenza cantonale. Il percorso sarebbe stato ancora lungo, e forse non ancora del tutto compiuto.

Per buona parte dell’Ottocento lo Stato continuò ad essere sentito come una costruzione artificiosa, considerato un organismo di parte e non al di sopra delle parti, perché mancava sempre un’identità cantonale, uno spirito pubblico, impedendo il consolidamento del sentimento di appartenenza a un territorio comune con interessi comuni.

Questi veloci accenni ci fanno capire quanto la nostra storia sia fondamentale per affrontare le sfide del III Millennio.

Una forte identificazione con il territorio è un elemento molto importante che contribuisce a definire la nostra identità. L’ancoraggio alla nostra storia, alle nostre tradizioni e al nostro territorio non deve però neppure rappresentare una barriera all’intero della realtà cantonale. Siamo fieri del nostro passato e di quello che siamo, e – forti di questo – dobbiamo avere il coraggio di affrontare le sfide senza paura per il Ticino di domani, in cui l’identità locale rimarrà sempre forte.

Il futuro del nostro Ticino si gioca su un riposizionamento gagliardo nel contesto federalista, che non può prescindere da una maggiore competitività locale e da una miglior coesione interna tra le diverse regioni che compongono il nostro Cantone.

Le nuove aggregazioni comunali e il Piano cantonale delle aggregazioni (PCA) a prima vista possono apparire quali disintegratori di queste identità locali, ma così non è. Uno degli obiettivi del PCA è proprio quello di far crescere in armonia il nostro territorio, per costituire un Ticino ancora più forte, coeso e indipendente; un Ticino in grado di affrontare le sfide del futuro. E confermare così una realtà costituita dalla “città Ticino”.

Nel continuo divenire della nostra storia abbiamo saputo cambiare, adattare e mutare il nostro ruolo, ma abbiamo sempre conservato lo spirito originario. Oggi siamo un Cantone in cui il Popolo è sovrano, all’interno di un modello di democrazia diretta che molti ci invidiano. Dobbiamo diffidare da chi vuole ripristinare i vecchi sistemi di governo o farci imporre altri sistemi importati dall’esterno, un po’ come nel 1814.

La storia è tuttora costellata da differenti esempi di movimenti per l’indipendenza e la salvaguardia dei diritti. Gli esempi non mancano, anche in queste ore di attualità. Da un lato troviamo la negazione di questi principi con la guerra in Ucraina o in Medioriente, e dall’altro troviamo la democrazia che permette al popolo scozzese di esprimersi alle urne sulla propria indipendenza, dopo un lungo percorso storico, sociale e soprattutto culturale.

Qualsiasi decisione dovrebbe sempre e comunque essere frutto di mediazione a più livelli e naturalmente condivisa dalla volontà popolare.

Se il nostro Paese è così pacifico, stabile ed indipendente, lo dobbiamo al nostro sistema politico ed alle decisione adottate dai nostri avi a tutela della nostra Libertà e della nostra Democrazia.

Vi ringrazio dell’attenzione.

Discorso pronunciato dal Vicepresidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi, Direttore del Dipartimento delle Istituzioni

in occasione della Commemorazione del 200° della Rivoluzione di Giubiasco
12 settembre 2014

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