Lo stato di necessità «non è sinonimo di assegno in bianco»

Lo stato di necessità «non è sinonimo di assegno in bianco»

Articolo pubblicato nell’edizione di martedì 26 maggio 2020 del Corriere del Ticino

Il Consiglio di Stato in corpore, il comandante dello Stato maggiore di condotta e il medico cantonale hanno informato i deputati sulle decisioni prese in questi mesi

Dopo due sedute plenarie del Legislativo cantonale annullate, ieri l’Esecutivo era chiamato per la prima volta dall’inizio della crisi a rendere conto al Parlamento di quanto fatto e deciso negli ultimi mesi. E la questione forse più scottante ed attuale ha riguardato la decisione del Consiglio di Stato di prolungare lo stato di necessità fino alla fine del mese di giugno.

Il primo a prendere la parola è stato il presidente del Governo Norman Gobbi, che a questo proposito ha rimarcato che lo stato di necessità ha permesso all’Esecutivo di attivarsi in tempi rapidi per «acquistare il materiale sanitario necessario al personale al fronte vista l’esiguità delle scorte; di mobilitare i militi della Protezione civile; di costruire strutture provvisorie a favore degli ospedali e delle case anziani e, infine, di organizzare e mettere in esercizio i checkpoint sanitari». Gobbi ha poi spiegato che lo stato di necessità è stato prolungato per «garantire libertà di manovra al Governo nel caso in cui la situazione epidemiologica dovesse cambiare, e anche per preservare le opere temporanee realizzate in questo periodo a favore delle strutture sanitarie». Tuttavia, ha voluto precisare, «non si tratta di un assegno in bianco al Governo». Riguardo ai mesi che verranno, Gobbi ha sottolineato l’importanza di «trasformare la crisi in opportunità» e che, in caso di una seconda ondata del virus, «le preziose lezioni apprese in questo periodo serviranno ad avere risposte più regionali, più mirate e più orientate alle fasce della popolazione più a rischio».

La responsabilità individuale
Il secondo consigliere di Stato a prendere la parola è stato il direttore del Dipartimento della sanità e della socialità Raffaele De Rosa, il quale, dopo aver lodato il lavoro di squadra fra le autorità e le istituzioni sanitarie, ha rinnovato l’appello a mantenere un comportamento responsabile «per non vanificare quanto fatto finora per qualche costinata in più». Il ministro ha pure affrontato un tema molto sensibile e discusso, ovvero quello dei decessi nelle case anziani. De Rosa ha assicurato che tutti i residenti hanno ricevuto cure adeguate nelle strutture. «Purtroppo, trattandosi dei più fragili dei fragili, il 45% dei decessi dovuti al coronavirus in tutto il cantone è avvenuto proprio tra questa categoria di persone». Il tasso di mortalità, ha sottolineato, non si discosta di molto da quello riscontrato in Europa e negli ospedali. «Arriverà il tempo delle valutazioni – ha concluso – Quello che questa pandemia ci ha già mostrato è l’eccessiva dipendenza dal materiale sanitario importato dall’estero e dal personale non residente».

Cifre rosse in vista
Dal canto suo, il direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) Christian Vitta ha ricordato come il Ticino «è stato l’unico Cantone ad aver ottenuto sei finestre di crisi per attuare delle misure più restrittive che hanno permesso di contenere l’aumento dei contagi. Il tutto, però, ad un costo molto elevato. Sui conti pubblici incombe un profondo rosso che lo stesso Vitta ha ipotizzato superiore ai 300 milioni di franchi «al netto di previsioni positive prima dell’emergenza». A rendere ancora più fosco e incerto il quadro economico ci sono anche le previsioni negative per l’economia nazionale e cantonale. «La fase di rilancio sarà complessa e per risollevarci servirà spirito di squadra», ha ammonito il direttore del DFE.

Misure per l’apprendistato
L’ultimo intervento è stato quello del direttore del Dipartimento dell’Educazione, della cultura e dello sport (DECS) Manuele Bertoli. Il consigliere di Stato ha ripercorso le tappe – e le polemiche – che hanno portato alla chiusura delle scuole, dalla decisione iniziale di tenere gli istituti aperti, passando per i rifiuti di alcune sedi a farlo. Bertoli ha in seguito parlato di una «buona reazione» da parte del sistema scolastico e ha illustrato i tre possibili scenari per l’anno scolastico 2020/2021. A settembre, ha spiegato, si potrà tornare alla scuola ordinaria in presenza, a una scuola ibrida oppure a una scuola a distanza: «Ci auguriamo che lo scenario non sarà questo». Il ministro ha infine sottolineato l’importanza per l’apprendistato in Ticino. Queste settimane saranno cruciali e il direttore del DECS ha già preannunciato «un pacchetto di misure per giugno».