Ridare dignità all’Esercito

Gentili Signore, Egregi Signori,

Porgo ai graditi ospiti e agli ufficiali, attivi e non, il più cordiale saluto del Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone Ticino, e in particolare del Dipartimento delle istituzioni, responsabile per le questioni afferenti la sicurezza. Una presenza numerosa che premia gli organizzatori, il Circolo degli ufficiali del Mendrisiotto e il borgo di Chiasso che ci ospita e porta in sé la memoria degli ultimi avvenimenti bellici che hanno toccato il nostro Cantone.

Il Dipartimento delle istituzioni, e per esso la Sezione del militare e della protezione della popolazione diretta dal ten col Fabio Conti, è lieto di salutare i giovani ticinesi entrati nel corpo degli ufficiali del nostro Cantone, così come gli ufficiali che hanno terminato i loro obblighi di servizio i quali saranno ringraziati e omaggiati per la loro dedizione allo Stato e alla sicurezza del Paese.

La recente cronaca, in relazione al nostro Esercito, offre lo spunto per alcune riflessioni che voglio condividere qui oggi con voi.

Durante l’assemblea 2011 della STU a Tenero, ebbi occasione di richiamare tre aspetti: (1) la difesa dell’Esercito di milizia con un’adeguata dotazione di effettivi e risorse, (2) la salvaguardia della presenza militare a Sud delle Alpi e (3) l’incremento del nostro lobbismo a Berna. Per quest’ultimo punto possiamo confermare che la nuova deputazione ticinese alle Camere federali è vicina al nostro Esercito. L’auspicio – avanzato dalla STU, dalla SSU e dal sottoscritto in occasione dell’assemblea 2011 – affinché si potesse contare su un esercito formato da almeno 100mila militi e con risorse sufficienti è stato accolto, con l’importante riconoscimento di sostegno da parte delle due Camere del nostro Parlamento. L’Assemblea federale ha sancito un effettivo di 100mila militi e un budget annuo di 5 miliardi di franchi a partire dal 2013, sufficienti a colmare le lacune e finanziare l’acquisto dei nuovi aviogetti da combattimento. Una decisione che aveva e tutt’oggi ha una valenza strategica per l’indipendenza del nostro Paese.

gripen saabQuesta salutare decisione è stata immediatamente manipolata e sfruttata dagli avversari del nostro Esercito che non hanno risparmiato attacchi immediati, i quali l’hanno definita “anti-democratica”. I rimproveri dei contrari hanno avuto un seguito intaccando e rallentando la strategia politica e militare in particolar modo nel momento in cui si sono svelate le indicazioni riguardo le scelte del Comando dell’esercito e del DDPS sul modello di nuovi aviogetti. Lotte politiche, comunicative e commerciali si sono moltiplicate, obbligando più volte il Consigliere federale Ueli Maurer e il Capo dell’Esercito Cdt C André Blattmann a difendere pubblicamente la scelta dei Gripen E/F della svedese SAAB. Una scelta corretta e condivisa dalle Forze Aeree, che permetterà finalmente la sostituzione dei Tiger.

Tutto bene, fino a circa due settimane fa. Il 25 aprile scorso il Consiglio federale ha deciso di – come si dice in buon dialetto ticinese – “outè u bagai in la cüna“ o ”voltaa ol fiöö nala cüna“, ossia di nuovamente rimescolare le carte. Il Governo ha infatti deciso di decurtare 300 milioni dal budget DDPS peraltro già approvato in autunno 2011 dal Parlamento, portandolo a 4.7 miliardi dal 2015. Da questo budget ulteriori 300 milioni saranno destinati per creare un fondo per l’acquisto dei futuri 22 caccia Gripen, questo però soltanto due anni dopo il termine stabilito, ossia tra il 2018 e il 2020.

La decisione del Consiglio federale de facto ha ribaltato la decisione parlamentare, abbassando il budget e spostandone l’inizio al 2015 invece del 2013; con la scomoda condizione che i milioni previsti per recuperare i deficit logistici e infrastrutturali riconosciuti non ci saranno più.

Questa serie di episodi mi hanno portato alla mente un’analoga particolare situazione, dove però in questo caso è stato il Cantone ad operare in primo piano. Come noto alla maggior parte degli ufficiali attivi, con la riduzione degli effettivi, l’alimentazione degli effettivi dei corpi di truppa italofoni è diventata un problema. Un grattacapo che pareva irrisolvibile, in particolare per il settore della formazione dei quadri il che significa disporre di quadri (sottufficiali e ufficiali italofoni). I motivi sono numerosi, in primis l’istruzione di base impartita in una seconda lingua, ostacolo tra i principali ostacoli che incontrano i militi italofoni nella propria avventura in grigioverde.

Dati alla mano, il tasso d’uscita delle reclute italofone nelle prime settimane di scuola reclute è circa del 20%; ciò significa che una recluta su cinque di madrelingua italiana viene licenziata amministrativamente o per problemi medici, e rispedita per approfondimenti al Centro di reclutamento del Monte Ceneri (che ringrazio per la proficua collaborazione, in particolare del suo comandante col SMG Martino Righetti). Un dato questo che spicca e impressiona rispetto a quanto accade ai militi delle altre regioni linguistiche, e non riconducibile ad una presunta incapacità dei nostri giovani. Prima del Servizio militare infatti i giovani reclutandi sono sottoposti a numerosi test che permettono di far emergere eventuali problematiche fisiche e psichiche.

Questi casi sono classificati nelle cosiddette “vie blu”, meglio note come “licenziamento per motivi medici” , anche se il problema è a nostro modo di vedere un altro. Poter seguire la formazione di base in italiano, nella propria madrelingua, permette di integrare anche gli elementi più “deboli” ed aprire una democratica via all’avanzamento. Una via sicura, garantita dal supporto di istruttori professionisti di madrelingua italiana. La situazione ci preoccupa, poiché i già esigui contingenti italofoni perdono parti determinanti numericamente nelle prime settimane di scuola reclute – che stimiamo per il “semplice” fattore linguistico – pari circa al 7-8%.

Tutto ciò mi porta a ricordare quanto appreso durante la Scuola ufficiali (già 13 anni fa). Una delle basi impartite ha riguardato l’analisi di un problema o la comprensione della missione ricevuta,. Obiettivo la valutazione di ogni aspetto prevedendo le possibili conseguenze  per poter imbastire  le diverse varianti, approntando infine un piano d’azione in grado di risolvere efficacemente ed efficientemente il problema.

Un processo di condotta chiaro che ogni dirigente e capo dovrebbe conoscere, ma dopo 13 mesi di Consigliere di Stato e alla testa del Dipartimento delle istituzioni, mi accorgo che non è così scontato come potrebbe esserlo per noi cittadini-ufficiali. Colgo l’occasione per ringraziare i numerosi collaboratori e quadri dell’Amministrazione cantonale presenti oggi in divisa o che la divisa l’hanno dismessa perché terminati gli obblighi di servizio, così come i politici cantonali e comunali che portano il valore aggiunto dell’ufficialità ticinese nelle nostre istituzioni.

Valutare le varianti e proporre una soluzione che permetta ai militi di seguire l’istruzione in italiano è un processo adottato nel Dipartimento responsabile del maggior Cantone italofono. Come indicano gli elementi della condotta e i principi dell’impiego, ci siamo impiegati affinché nascessero truppe italofone nelle tre tipologie di operazioni dell’Esercito: (1) salvaguardia delle condizioni d’esistenza, (2) sicurezza del territorio, e (3) difesa. Scopo principale disporre di corpi di truppa, in ogni tipologia d’impiego, così da essere vicini alla popolazione, vicini ai Cantoni e fedeli allo Stato confederale.

Abbiamo formalizzato questa proposta con dati oggettivi sul numero di giovani italofoni reclutati e destinati all’Esercito; l’unica variante percorribile e sostenibile è di concentrare il maggior numero di italofoni nei tre singoli corpi di truppa: il Battaglione d’aiuto in caso di catastrofe 3, il Battaglione fanteria di montagna 30 e il Gruppo artiglieria 49. Così facendo il numero più consistente di militi in questione sarà riunito in una truppa al servizio del Paese nelle tre tipologie d’impiego, mantenendo anche una presenza nella difesa, il che vuol essere un segno del nostro impegno e del nostro rispetto dell’Esercito anche se per ora è uno scenario ancora utopico.

Questo non significa però che agli italofoni saranno precluse delle formazione di base o specialistiche, anche se sarà necessaria la padronanza (e non solo conoscenza) di una seconda lingua nazionale. Infatti, solo la metà dei militi sarà destinato ad incrementare i tre battaglioni che oggi garantiscono una presenza di italofoni superiore a 2/3. A titolo informativo, corpi di truppa storici per i militari ticinesi, come il gr DCA m 32 e il bat G 9, oggi dispongono di meno del 50% di militi italofoni incorporati e la tendenza è da tempo ed inesorabilmente al ribasso a causa anche della mancanza di quadri e ufficiali di stato maggiore italofoni.

Ora questa proposta è stata inoltrata al comunemente noto J1, ossia il capo del personale dell’Esercito br Jean-Paul Theler, il quale ha avuto parole di  gratitudine per il lavoro svolto. A tal proposito permettetemi di riconoscere quanto di positivo fatto dall’ex caposezione della Sezione del militare e della protezione della popolazione, col Tiziano Scolari. È stato completato un lavoro cosciente, lungimirante e responsabile. Attendiamo la presa di posizione dei vertici dell’Esercito, dato che tale proposta dovrà essere allineata e sincronizzata con l’attuale “Sviluppo futuro dell’Esercito”, che sarà affrontato in seguito dal delegato del Capo dell’Esercito col SMG Alain Vuitel. ”Weiterentwickling der Armee“ che non ha, come visto prima a livello di politica federale, ancora solide basi sul suo finanziamento.

Proprio quelle solide basi che il Parlamento ha voluto dare e il Governo, con una decisione deludente ha voluto sgretolare, per reconditi e pure per partitici motivi. Una decisione che, mi vien da dire, non è fondata su una chiara analisi. Se pensiamo solo ai tempi necessari alla formazione di un pilota militare, l’introduzione tardiva del nuovo caccia bloccherà diversi anni di formazione e ritarderà ulteriormente la sua piena integrazione nelle Forze Aeree. Nei media, poi, il tema delle ”logistischen Lücken“ è stato ampiamente diffuso e dibattuto, perché reale. Nonostante le restrizioni di budget con la designazione del div Daniel Baumgartner alla testa della Base logistica dell’esercito ha dato l’impressione di portare progressi anche in questo settore, ma la decisione del Consiglio federale non ha tenuto conto degli squilibri e delle gravi mancanze in ambito logistico e di infrastruttura da recuperare, come invece hanno fatto le due commissioni parlamentari di politica di sicurezza.

Pronta è stata la reazione della Commissione della sicurezza del Consiglio degli Stati, la quale ha criticato la decisione del Consiglio federale facendo emergere una mancanza di rispetto pericolosa per l’esercito. La maggioranza commissionale ha giudicato incomprensibile tale decisione governativa, poiché mette in pericolo lo sviluppo e la credibilità dell’esercito. De facto, il Consiglio federale ha decurtato di 300 milioni di franchi annui il budget della Difesa, venendo meno quindi al mandato parlamentare di risoluzione delle importanti carenze a livello di logistica e funzionamento della nostra armata.

La decisione dello scorso 25 aprile 2012 del Consiglio federale è dal punto di vista della condotta erronea e dal punto di vista strategico debole. Erronea poiché l’analisi del problema è mancata, così come le possibili conseguenze da trarre da oggettivi dati di fatto e constatazioni. Debole perché sfibra il nostro esercito e la nostra immagine di ”liberi e svizzeri“ di cui ancora godiamo all’estero, ma soprattutto perché non garantisce le solide basi per lo sviluppo dell’esercito, il reintegro delle mancanze, e la copertura adeguata dei compiti di polizia.

Non possiamo sminuire la difesa del nostro Paese, così come il supporto da garantire alle Autorità civili in caso di necessità o di crisi. È imperativo portare la nostra sicurezza, garantita dal nostro Esercito, allo stesso livello e alla stessa dignità dei temi importanti quali il finanziamento delle assicurazioni sociali e dello sviluppo del mercato del lavoro. Voler banalizzare l’esercito è improduttivo e poco lungimirante, soprattutto per un Paese piccolo come il nostro che ha voluto, potuto e saputo resistere nello scorso Secolo a due Guerre mondiali lungo i nostri confini, tenendo testa alle pressioni esterne sul nostro Governo e sulle nostre istituzioni, anche bancarie.

La recente cronaca internazionale dimostra come il nostro benessere – cresciuto grazie ad un sistema liberale e democratico, nonché alla capacità di piccole istituzioni cantonali e federali di adattarsi ed essere flessibili in modo da rispondere alle richieste del mercato – sia diventato oggetto di interesse o del desiderio di alcuni nostri vicini o degli Stati Uniti d’America. Un desiderio venale, che però mette sotto pressione il nostro Governo federale e l’intero sistema elvetico.

A fine giugno 1940 dopo la capitolazione della Francia, l’allora Presidente della Confederazione Marcel Pilet-Golaz, rivolgendosi radiofonicamente alla popolazione svizzera, con parole ambigue espresse ha spiegato come la Svizzera avrebbe dovuto adeguarsi alle nuove circostanze dell’Europa, poiché gli eventi corrono veloci e ci si doveva adeguare al loro ritmo, il ritmo di una “nuova Europa”.

Un’Europa che poi tanto nuova non è, dato che la Storia è maestra di vita; sfogliando una rivista ho felicemente trovato tra le pagine uno scritto del francese Edmond About, datato 1855 dal titolo ”La Grèce contemporaine“. In questo testo, di oltre 150 anni or sono, About descriveva la differenza tra i miti antichi e la Grecia contemporanea. Soffermandosi sul budget statale del paese ellenico, affermava: ”La Grecia è l’unico esempio conosciuto di nazione che vive in piena bancarotta, da quando la Grecia moderna è stata creata. Se Francia o Inghilterra si trovassero nelle medesima situazione per un solo anno, ci sarebbero evidenti catastrofi, ma la Grecia gestisce da decadi la sua bancarotta in piena tranquillità. Tutti i conti annui, dal primo all’ultimo, sono stati deficitarii”. Gli imbarazzanti richiami alla realtà odierna colti nel testo di About hanno una conclusione devastante per l’odierna Europa: “Vi è sempre stata una protezione delle potenze estere, che hanno garantito la sua solvenza, permettendole (alla Grecia, ndr) di aver accesso ai fondi esteri. (…) Le risorse acquisite da questi prestiti stranieri vennero scialacquate dal governo senza beneficio per il Paese. E la Grecia non fu mai in grado di pagarne gli interessi“.

Come avete potuto udire, la storia si ripete e non abbiamo mai tratto le giuste conseguenze e i corretti insegnamenti. L’aiuto del “Fondo europeo di stabilità finanziaria” concesso alla Grecia non è il primo né sarà l’ultimo dei salvagente lanciati per la sua improbabile salvezza. E se la storia si ripete, invece di ascoltare i moderni Pilet-Golaz che ci parlano di un adeguamento alle nuove circostanze, preferisco ricordare le parole del Generale Henri Guisan, che seppero dare fiducia e coraggio alla nostra popolazione: ”La nostra indipendenza, e tutto ciò che sentiamo come inalterabilmente svizzero, [può] essere preservata solo da una volontà di resistenza incondizionata, e [deve] essere adattata al malanimo e al mutare dei tempi. Questa resistenza [è] possibile”.

Una resistenza garantita grazie ad un esercito di milizia moderno, a salvaguardia della nostra Libertà. Vi ringrazio.

 

12 maggio 2012, Chiasso – Spazio Officina
Società Ticinese degli Ufficiali STU – Assemblea generale ordinaria 2012  

Intervento di Norman Gobbi, direttore del Dipartimento delle istituzioni

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