Una mela, un migrante

Una mela, un migrante

Da LaRegione Ticino, di Andrea Manna e Daniela Carugati l Gli uomini e le donne in attesa alla stazione ferroviaria di Como sono ormai 500. Aumentano i migranti assistiti dai volontari di Firdaus. E sale la pressione alla frontiera ticinese. Il ministro Gobbi intende infatti incontrare i prefetti di Como e Varese e chiedere a Berna l’intervento della Polizia militare a supporto delle Guardie di confine. Nodo, la gestione dei respingimenti.

Le mele sono diventate ormai una sorta di unità di misura. Restituiscono, giorno dopo giorno, la realtà della stazione di San Giovanni, a Como. Ieri ne sono state distribuite cinquecento. Tante quante le persone in attesa tra lo scalo ferroviario e i giardini sottostanti. Quel frutto assieme a un piatto di riso (o di pasta) e a un pezzo di pane costituiscono, del resto, il pasto che i volontari dell’Associazione Firdaus di Genestrerio garantiscono ogni mezzogiorno.

Sale il numero delle mele quotidiane. Aumentano i migranti che aspirano a passare la frontiera. E cresce così la pressione alle porte del Ticino. Il capo del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi intende incontrare i prefetti di Como e di Varese. «Stiamo prendendo i necessari contatti per vedere la loro disponibilità», dice alla ‘Regione’ il consigliere di Stato. «Si tratterà di fare il punto della situazione, anche per coordinarci al meglio al di qua e al di là della frontiera, visto che il problema è comune – aggiunge Gobbi –. Al momento la collaborazione con l’Italia, per quanto riguarda le procedure di riammissione, funziona bene». La situazione nel capoluogo lariano tuttavia si aggrava col passare dei giorni. «Proprio per questo vorrei sapere dai due prefetti come intendono gestire il fenomeno nell’immediato futuro – afferma il ministro ticinese –. Quello che sta avvenendo a Como potrebbe peraltro innescare problemi di ordine pubblico: alcuni migranti potrebbero infatti diventare manovalanza di organizzazioni criminali o facili prede di passatori che lucrano sulla disperazione altrui». Per il direttore del Dipartimento, servirebbe però anche «un segnale» da Berna: «La Confederazione dovrebbe finalmente dire in maniera chiara che la Svizzera non è un corridoio di transito, che nessun corridoio umanitario è stato aperto. Altrimenti c’è chi continuerà ad alimentare nei migranti false illusioni». D’altronde, continua Gobbi, «ho i miei dubbi che la Germania, Paese che i migranti desiderano raggiungere, voglia un simile corridoio: pensiamo a quello che succede in questi giorni a Costanza (Germania), dove quanto a respingimenti, e con un numero di migranti decisamente più basso di quello con cui noi siamo confrontati, le autorità tedesche stanno facendo con la Svizzera ciò che noi stiamo facendo con l’Italia».

Per quanto tempo ancora è gestibile questa situazione? «Stando agli ultimi dati forniti dal Comando delle Guardie di confine, in luglio ci sono stati 6’289 ingressi in Ticino, poco meno del doppio di quelli di giugno e più di tre volte e mezzo di quelli del luglio dello scorso anno – evidenzia Gobbi –. Quando si ha a che fare con oltre quattromila respingimenti in un mese, strutture e organizzazione del personale preposto a questo compito ne risentono parecchio. Il Corpo delle Guardie di confine della Regione IV ha dovuto chiedere rinforzi. Li ha ottenuti, ma nel contempo sono state sguarnite altre Regioni a nord». Tramontata l’ipotesi di un intervento dell’Esercito alla frontiera sud della Svizzera, e meglio della truppa di milizia attraverso una diversa pianificazione dei corsi di ripetizione, Gobbi si appresta a interpellare i consiglieri federali Guy Parmelin e Ueli Maurer, responsabili rispettivamente del Dipartimento della difesa e di quello delle finanze (dal quale dipendono anche le Guardie di confine). «Sto scrivendo infatti a Maurer e Parmelin – spiega Gobbi – per chiedere l’impiego della Polizia militare a supporto delle Guardie di confine della Regione IV per gestire i respingimenti. L’impiego della truppa era previsto qualora ci fosse stata un’impennata delle domande d’asilo, almeno diecimila, cosa che però non è sin qui accaduta. Sono invece nettamente aumentate le entrate illegali: ritengo quindi necessario un supporto all’attività al Corpo delle Guardie di confine. Un supporto che potrebbe essere fornito, in questa fase, dalla Sicurezza militare (Polizia militare), composta di professionisti dell’Esercito».

Domenica alla frontiera si è sfiorato un record di ingressi illegali: ben oltre 300 (e prossimi ai 400) i casi registrati dagli agenti a fronte dei 1’700 delle ultime settimane. Un’altra cifra che mostra quanto la situazione sia difficile. Un po’ di preoccupazione, di fatto, c’è anche nelle autorità locali, ammette il sindaco di Chiasso Bruno Arrigoni . «Abbiamo fiducia, in ogni caso, nel Cantone e nella Confederazione – precisa –, che non sono rimasti con le mani in mano, ma si sono dimostrati propositivi per ovviare a un eventuale aumento delle entrate». Certo uno scenario quale è quello comasco sulla soglia di casa fa un certo effetto. «Si vuole evitare di riprodurre una tale situazione. Siamo informati costantemente. I contatti con il Dipartimento delle istituzioni e la Segreteria di Stato della migrazione sono settimanali. L’ultimo punto lo abbiamo fatto martedì scorso e avremo un nuovo incontro con i nostri interlocutori cantonali questa settimana», ci conferma ancora Arrigoni.

Nel frattempo, anche la stazione di Chiasso si è andata un po’ trasformando, ma a livello strutturale. I divisori sistemati lungo il marciapiede sono pronti per fronteggiare un flusso migratorio più importante. Mentre entro fine mese (al massimo a inizio settembre, spiega il sindaco) si valuterà se adibire altri spazi dello scalo cittadino alle procedure di registrazione, qualora i locali al Centro federale non bastassero più per sbrigare le pratiche nello spazio delle 36 ore, come previsto. Alcune scelte logistiche, come la futura struttura di Rancate, stanno, però, già diventando un nodo della politica locale. I giovani leghisti del Mendrisiotto e l’Udc di Mendrisio hanno fatto sapere che non la vogliono.

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