Tra problemi reali e strumentalizzazioni politiche
Il recente caso del presunto saluto nazista durante una cerimonia militare ha riacceso il dibattito sull’esercito svizzero, spingendo ancora una volta l’istituzione militare sotto i riflettori della critica. Tuttavia, dietro il legittimo interesse per episodi che meritano certamente attenzione e approfondimento, si nasconde spesso una strategia politica più ampia che va oltre la semplice preoccupazione per il buon funzionamento delle forze armate.
“È innegabile che l’esercito svizzero stia attraversando un periodo di sfide significative”, esordisce il Consigliere di Stato Norman Gobbi, “i costi legati all’acquisizione degli F-35, le problematiche inerenti al progetto “droni” e altre difficoltà legate alla gestione di progetti complessi rappresentano questioni concrete che richiedono riflessioni serie e correzioni di rotta. L’istituzione militare non si sottrae a questo confronto critico e sta affrontando questi nodi con la serietà che meritano, consapevole che l’efficienza e la credibilità delle forze armate dipendono dalla capacità di evolversi e migliorarsi costantemente”.
Tuttavia, come giustamente evidenzia la Società Ticinese degli Ufficiali nel suo recente articolo, “l’esercito è lo specchio della società“, i militari non vivono in un sistema isolato. Gobbi condivide e sottolinea il concetto di “militi che provengono dalla società civile portando con sé valori, convinzioni e, purtroppo, anche i pregiudizi del tessuto sociale. In una società sempre più polarizzata, dove le posizioni estreme trovano crescente spazio nei dibattiti pubblici, non dovrebbe sorprendere che queste tendenze possano manifestarsi anche nelle formazioni militari”.
Il punto cruciale è distinguere tra critica costruttiva e strumentalizzazione politica. “Additare sistematicamente ogni problema o episodio controverso come prova dell’inadeguatezza strutturale dell’esercito rivela spesso un’agenda politica precisa”, sottolinea Gobbi. “Per parte della sinistra, l’obiettivo strategico rimane quello di delegittimare progressivamente l’istituzione militare fino alla sua abolizione. Ogni difficoltà diventa così un’arma dialettica per alimentare questo disegno politico”.
Per quanto attiene al presunto caso di estremismo, continua Gobbi citando il menzionato articolo, “l’esercito svizzero ha implementato strumenti concreti per affrontare le problematiche: controlli rigorosi durante il reclutamento, formazione dei quadri per gestire situazioni problematiche, politiche di tolleranza zero verso comportamenti illeciti e il Servizio specializzato per l’estremismo. Nonostante questi sforzi, è importante riconoscere che nessun sistema di controllo può essere perfetto al cento per cento, specialmente quando si tratta di prevedere l’evoluzione del pensiero umano nel tempo”.
La realtà è che i problemi ideologici e comportamentali che occasionalmente emergono nell’esercito sono il riflesso di dinamiche sociali più ampie. Come sottolinea la Società Ticinese degli Ufficiali, si tratta di “un problema globale, che trova la sua origine nella cultura, nell’educazione e nelle derive di una società disorientata e polarizzata“. La soluzione non può quindi limitarsi alla sola riforma dell’istituzione militare, ma richiede un impegno collettivo per rafforzare l’educazione civica e promuovere valori democratici.
“In questo contesto, l’approccio più produttivo consiste nel riconoscere i problemi reali senza cadere nella trappola della demonizzazione sistematica. L’esercito svizzero, come ogni istituzione, deve continuare a migliorarsi e adattarsi alle sfide contemporanee. Tuttavia, trasformare ogni difficoltà in un atto d’accusa contro l’esistenza stessa delle forze armate serve solo a indebolire una componente fondamentale della sicurezza nazionale, alimentando divisioni che la Svizzera non può permettersi in un mondo sempre più instabile”, conclude Gobbi.
Articolo pubblicato nell’edizione di domenica 27 luglio 2025 del Mattino della domenica