«Un ciclone da una frase “rubata”, non ci si può neppure scusare»

«Un ciclone da una frase “rubata”, non ci si può neppure scusare»

Intervista pubblicata nell’edizione di martedì 17 novembre 2020 del Corriere del Ticino

Il presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi risponde alle critiche che gli sono state rivolte dopo aver pronunciato una frase sopra le righe nei confronti degli italiani e smentisce che in Governo ci sia del nervosismo sulle misure di contenimento da adottare.

Lei è finito nell’occhio del ciclone mediatico e politico per una poco elegante frase nei confronti degli italiani. Concorda sul fatto che sia stata una caduta di stile?
«Quando il ciclone mediatico e politico viene creato su una errata comprensione di una frase “rubata” in un fuori onda televisivo c’è poco da fare. Non ci si può nemmeno scusare. Ciò che è stato riportato (ad arte da alcuni avversari politici) non è ciò che ho detto. Quindi il fatto non esiste. Potremmo star qui ore a disquisire sul bon ton. La realtà è un’altra: questa pandemia necessita di interventi appropriati sia di qua sia di là dal confine e ognuno è chiamato a fare il suo. Unicuique suum: se lo dico in latino va meglio?».

In questa seconda ondata le si rimprovera di avere alzato eccessivamente i toni come presidente del Governo. Concorda o contesta?
«In questa seconda ondata il presidente del Governo si è fatto – come nella prima ondata – portavoce dell’intero Governo. Non sono i toni a essere eccessivi, sono le misure da adottare a essere impegnative, per taluni pesanti e per altri sempre troppo blande. I miei toni sono sempre stati improntati a far passare un messaggio chiaro».

C’è poi la fuga in avanti e la ritrattazione delle misure presentate domenica scorsa in fretta e furia. Un errore di percorso o il segno del nervosismo che inizia a farsi strada anche al vostro interno?
«Il Governo ha voluto e dovuto lanciare domenica scorsa un ultimo appello alla popolazione per evitare di dover ricorre a misure più drastiche. E i numeri degli ultimi giorni sembrano confermare che la popolazione ha recepito l’appello e capito la gravità della situazione. Il fatto che il giorno successivo abbiamo dovuto precisare alcune questioni (sostanzialmente per il mondo dello spettacolo: cinema, teatri e concerti) non mi sembra una tragedia. Il Governo è unito e la conduzione di questa crisi ci sta rafforzando».

È curioso che per spiegare il dietrofront sia stato mandato al fronte il cancelliere Arnoldo Coduri. Tutti i consiglieri di Stato avevano impegni improrogabili al punto da evitare il confronto e la spiegazione ai cittadini?
«Erano spiegazioni di natura tecnica, non politica (da 5 persone si passa per gli spettacoli a 30, come era già stato previsto per le funzioni religiose). Il messaggio politico era: agiamo tutti insieme ora per evitare limitazioni peggiori in un secondo momento. Ricordo inoltre che uno dei compiti del cancelliere è rappresentare il Governo verso l’esterno e infatti la comunicazione e l’informazione sulla crisi attualmente è stata centralizzata, come ho comunicato proprio nel corso della conferenza stampa di domenica scorsa, al SIC (Servizio dell’informazione e della comunicazione del Governo) di cui il cancelliere è responsabile. In tutta franchezza, mi sembra quindi una polemica sterile. Ora è importante guardare avanti perché i prossimi mesi saranno altrettanto impegnativi».

Premesso che sbagliare è umano e nessuno qui vuole infierire, il rischio è che la cittadinanza guardi più alla forma che alla sostanza, perdendo di vista l’obiettivo primario, la salute e la lotta alla pandemia. Cosa ne pensa?
«Ai fiumi di parole noi preferiamo i fatti. Come tutti i ticinesi alla forma preferiamo la sostanza. E in questa crisi le chiacchiere sono dannose. Anzi: fanno sbagliare. Credo che abbiamo ripetuto centinaia di volte qual è l’obiettivo principale di tutte le misure di fronte alla crisi: la salute dei concittadini; e non solo per chi, purtroppo, si ammala di COVID-19, ma anche per coloro che devono affrontare tutte le altre patologie che non si fermano davanti al coronavirus. Quindi: evitare la pressione sulle strutture sanitarie attraverso misure appropriate che non portino alla chiusura di ogni attività. Pena un collasso economico e sociale».