Reclutatori ISIS: dobbiamo avere paura?

Reclutatori ISIS: dobbiamo avere paura?

Dal Mattino della domenica | Mercoledì una maxi-operazione antiterrorismo ha portato all’arresto di una persona

Circa un mese fa, proprio su queste pagine, scrivevo della radicalizzazione jihadista e della situazione in Ticino, spinto dai tristi fatti di cronaca di dicembre a Berlino e Instanbul. Ed ecco che la notizia degli ultimi giorni ci riporta negli ambienti della radicalizzazione, da molto più vicino. Una maxi-operazione antiterrorismo alla quale hanno partecipato oltre 100 agenti della Polizia cantonale e federale: se le ipotesi di reato venissero confermate, si tratterebbe del primo arresto in Svizzera di un reclutatore dell’ISIS.

Una notizia che alle nostre latitudini (fortunatamente) ancora ci turba. In molti mi hanno chiesto se dobbiamo avere paura. La mia risposta è no, ma dobbiamo preoccuparci. Il Ticino e la Svizzera, come ho affermato più volte, non sono obiettivi di attacchi, ma questo non significa che possiamo ritenerci esenti dalla minaccia terroristica, perché il rischio zero non esiste. E i fatti di questi giorni lo hanno dimostrato ancora una volta. Proprio sul nostro territorio operavano dei reclutatori, dei lupi che grazie al lavoro dell’intelligence ticinese e svizzera sono stati smascherati dalla loro veste di agnello. Un lavoro essenziale quindi quello della lotta contro i nuovi fenomeni legati al terrorismo, che si rivela una scelta vincente anche in Ticino. Le due operazioni di mercoledì sono la dimostrazione che la collaborazione tra Cantone e Confederazione funziona, e che le autorità sono attente e mantengono alta l’allerta.

Il nostro è un Cantone con una condizione particolare, per il nostro essere la Porta Sud della Svizzera per i flussi migratori. Nonostante i moralizzatori continuino a negarlo, è ormai incontestabile che ci siano degli individui radicalizzati che sfruttano questo movimento di persone per passare inosservati e raggiungere l’Europa, con la volontà precisa di compiere atti di estremismo. Per questo motivo per contrastare la radicalizzazione jihadista dobbiamo agire su più fronti: il controllo delle persone che arrivano sul nostro territorio ma anche il lavoro di intelligence come quello che ha portato alle due operazioni di mercoledì. La collaborazione con l’Italia nella lotta contro il terrorismo è essenziale: spesso questi individui in via di radicalizzazione sono sostenuti, logisticamente e finanziariamente, da gruppi che possono venire dalla vicina Italia, che come ben sappiamo ospita diverse aree con una crescente criticità sotto questo punto di vista.

Ma l’intelligence non può arrivare dappertutto e in ogni momento: per questo è importante che lo Stato sia aiutato dai cittadini, le nostre sentinelle sul territorio, ma anche dalle comunità religiose che vogliono essere parte integrata della nostra società. È fondamentale una maggiore vigilanza soprattutto da parte di questi ultimi, poiché come è vero che non tutti i luoghi di culto sono luoghi di radicalizzazione, è innegabile che questi luoghi siano frequentati anche da personaggi radicalizzati e radicalizzatori.

Via la pelle d’agnello dai lupi: collaboriamo per una maggiore sicurezza sul nostro territorio. Perché noi non vogliamo avere paura.

NORMAN GOBBI, CONSIGLIERE DI STATO E DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DELLE ISTITUZIONI

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