“Questi metodi non ci appartengono”

“Questi metodi non ci appartengono”

Proteste pro Palestina

L’ufficio di Norman Gobbi è immerso in una luce autunnale. Fuori, il traffico scorre ordinato lungo i viali di Bellinzona. Dentro, l’atmosfera è calma, quasi sospesa. Ma quando il tema si sposta sugli episodi legati alle recenti manifestazioni pro Palestina in Ticino, lo sguardo del Consigliere di Stato si fa più vigile, più fermo.
Parla lentamente, scegliendo le parole con la cautela di chi non vuole alzare i toni ma ribadire principi. «Il diritto di manifestare è sacro», esordisce. «Fa parte del nostro DNA democratico. Ma quando da Bellinzona arrivano notizie di violenze verbali e insulti, quando a Lugano vediamo blocchi del traffico e lavoratori impossibilitati a svolgere la loro giornata, allora non siamo più dentro quel perimetro. In quel momento, chi protesta non difende più una causa: la danneggia. E, soprattutto, perde ragione. Si mette dalla parte del torto
La sua voce non è dura, ma decisa. Gobbi insiste sull’idea di misura, un concetto che in Svizzera ha un peso quasi culturale. «Siamo cresciuti con un modello fatto di dialogo e confronto civile, con il rispetto reciproco come bussola. Questo è l’approccio tipicamente elvetico che ci distingue. Ed è per questo che episodi come quelli visti qui ci preoccupano: perché introducono pratiche che non ci appartengono. Sono importazioni dall’Italia, metodi estranei al nostro tessuto sociale.»
Le sue parole scorrono come un avvertimento: la Svizzera non è un terreno neutro dove qualsiasi modalità di protesta può attecchire indisturbata. «Chi blocca strade, chi insulta i politici, chi ostacola i lavoratori, non sta esercitando un diritto. Sta imponendo un disordine che nulla ha a che fare con il nostro modo di vivere la democrazia. E dobbiamo dirlo chiaramente: questi comportamenti sono di importazione. Non fanno parte della nostra tradizione, non devono radicarsi qui.»
C’è un passaggio che Gobbi ripete più volte, come se fosse il cuore del suo messaggio: «Quando si superano certi limiti, il confine è chiaro. Non è più dialogo, non è più democrazia partecipata. È un passo oltre, ed è un passo verso il torto che non aiuta la causa.»
L’incontro si chiude con una riflessione che sembra una sorta di bussola per i cittadini. «Il Ticino e la Svizzera hanno la forza di accogliere idee diverse, di discuterle anche quando sono scomode. Ma questo va fatto con gli strumenti che conosciamo: il rispetto, il confronto civile, la responsabilità. Non con metodi urlati o con blocchi che paralizzano la vita quotidiana. Non lasciamoci trascinare da logiche che non sono nostre.»
Fuori, il traffico continua a scorrere. Dentro, resta la sensazione che il vero nodo non sia il merito delle proteste, ma il metodo. Perché, come sottolinea Gobbi, «il come» in Svizzera è sempre stato importante quanto «il cosa».

Articolo pubblicato nell’edizione di domenica 5 ottobre 2025 de Il Mattino della domenica