Una settantina di persone: perlopiù sole, qualche coppia e alcuni nuclei familiari, tra cui sette minori. È questo il numero e la composizione degli ospiti che vivono oggi nel Centro cantonale polivalente di Camorino. Fra loro anche due neonati e un bambino già inserito nelle scuole elementari locali.
A poco più di due mesi dall’entrata in funzione della nuova struttura destinata principalmente all’alloggio di persone afferenti all’ambito dell’asilo, a fare il punto della situazione è Federico Chiesa, capoufficio presso la Sezione del militare e della protezione della popolazione del Dipartimento istituzioni, che del Centro polivalente gestisce gli aspetti logistici, infrastrutturali, amministrativi e relativi alla sicurezza.
A margine del terzo Tavolo della solidarietà e dell’integrazione organizzato dalla Città di Bellinzona lo scorso 2 dicembre, lo abbiamo incontrato per approfondire il funzionamento del Centro e in particolare per comprendere le ragioni di un regolamento e di una struttura concepiti almeno all’apparenza su un paradigma molto securitario. Partiamo però dai principali aspetti messi in luce durante l’evento.
I compiti del Cantone
Il Centro di Camorino, che dispone di quasi 170 posti letto, è una delle cinque strutture collettive ordinarie presenti in Ticino – cui se ne affiancano altre 14 temporanee – che accolgono le persone afferenti il settore dell’asilo attribuite dalla Confederazione al nostro Cantone secondo la chiave di riparto che per il Sud delle Alpi è del 4%. È definito “polivalente” perché, grazie alla struttura modulabile, può ospitare anche altre tipologie di utenza, come vittime di violenza domestica o persone evacuate dalle proprie abitazioni ad esempio a seguito di un incendio. A differenza degli altri Centri gestiti integralmente dalla Croce Rossa Sezione Sottoceneri su mandato del Consiglio di Stato, qui la gestione è “mista”: Croce Rossa si occupa delle attività d’integrazione e dell’inserimento socio-professionale degli ospiti, mentre il Dipartimento istituzioni degli altri aspetti menzionati.
Nel corso del Tavolo proposto a Bellinzona, Renzo Zanini, responsabile dell’Ufficio dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati, ha illustrato il modo in cui si svolge il processo d’integrazione in Ticino che si suddivide in due fasi. Dopo il deposito della domanda d’asilo in un Centro federale (come quello di Chiasso), entro un massimo di 140 giorni la persona viene attribuita a un Cantone che per legge deve fornire alloggio e garantire l’aiuto sociale, sia tramite l’erogazione di prestazioni economiche sia tramite l’attivazione di un percorso di integrazione sociale, linguistica e di inserimento socio-professionale, grazie a una serie di misure tarate sui bisogni e le potenzialità dei singoli beneficiari di prestazioni. La prima fase avviene nei Centri collettivi e dura in media 9-12 mesi, finché la persona non raggiunge una buona base di autonomia; segue il trasferimento in un appartamento e l’avvio della seconda fase, gestita da Sos Ticino.
Un bambino alle Elementari
L’obiettivo della prima fase, ha rimarcato Mirko Bianchi, responsabile area integrazione della Croce Rossa, è proprio che queste persone acquisiscano una buona base di autonomia, ciò che si traduce nel compito di portare gli adulti a un livello d’italiano pari almeno all’A2, di far conoscere loro il territorio, i suoi usi e costumi, e di definire insieme un progetto professionale. Per i giovani dai 16 ai 25 anni l’obiettivo linguistico minimo è più alto, vale a dire un livello orale B1, necessario per seguire percorsi formativi che richiedono un certo grado di competenze; il loro passaggio alla seconda fase avviene solo dopo l’inserimento in una formazione o in un tirocinio. Per seguire e sostenere i diversi ospiti lungo i loro percorsi, nei Centri operano educatori, case manager e job coach. Dal canto loro i bambini sotto i 16 anni vengono subito inseriti nel sistema scolastico.
In concomitanza con l’apertura del Centro cantonale polivalente, il direttore delle scuole comunali di Camorino Mauro Valli ha elaborato un progetto specifico per i bambini della struttura: una classe di accoglienza con un organico al 120% formato da due maestre. Dopo un primo incontro con le famiglie, il protocollo prevede l’inserimento dei piccoli in questa classe d’accompagnamento per permettere loro di ambientarsi. Fin da subito sono invitati a fare ricreazione con gli altri bambini, per poi iniziare gradualmente a seguire alcune lezioni come ginnastica e arti visive, e in seguito venire inseriti nella classe più adeguata al loro livello. L’obiettivo è garantire transizioni armoniose e percorsi adeguati alla situazione personale di ognuno, premesse – ha evidenziato Valli – fondamentali per una buona riuscita scolastica. Come indicato, per ora c’è solo un minore in età da scuola elementare alloggiato al Centro polivalente, ma l’auspicio sia di Valli che di Chiesa è che altri possano beneficiare di questo programma di accoglienza.
Accanto all’importante lavoro orientato a favorire l’inserimento delle persone richiedenti l’asilo nella società promosso dal Centro di Camorino e da una rete di altri attori coinvolti, si trovano però aspetti relativi alla struttura che perlomeno a prima vista possono destare delle perplessità. In particolare il lungo regolamento del Centro – 9 pagine – dedica ampio spazio a misure di sicurezza e disciplina: prevede e regolamenta perquisizioni; ispezioni di camere e armadi senza preavviso; sanzioni; in determinate circostanze uso della forza fisica, di misure coercitive e del fermo di breve durata da parte del personale di sicurezza. Disposizioni che insieme alla presenza di recinzioni metalliche e telecamere configurano più l’immagine di una struttura penitenziaria che di uno spazio dedicato ad accogliere persone in possesso di un permesso (B, F o N) attribuite al Cantone. Ne abbiamo parlato con il responsabile.
Federico Chiesa, come mai si è optato per questa impostazione così securitaria? Di fronte a persone spesso fuggite da conflitti, persecuzioni, situazioni di reclusione, non c’è il rischio di riaccendere traumi, alimentare una cultura del sospetto e rendere più difficoltosa l’integrazione?
Un regolamento è una base legale che tutela sia ospiti sia personale, definendo con chiarezza diritti e limiti. Tante regole sono semplici norme di convivenza della casa per garantire serenità a tutti. In una struttura così grande sono essenziali per una buona convivenza comune. Lo spettro delle misure è ampio proprio anche per evitare derive che potrebbero portare ad adottare misure non ortodosse, che andrebbero a minare la fiducia tra il personale e i beneficiari ospitati. Vogliamo impedire episodi simili. La redazione di questo documento è partita dai regolamenti elaborati e applicati da Croce Rossa Sezione Sottoceneri nei propri centri. Proprio per evitare discriminazioni legate all’alloggio che viene attribuito a una persona abbiamo basato il nostro Regolamento sulle regole già applicate sul territorio, ispirandoci e affinando vari aspetti anche sulla base di quanto viene fatto in strutture analoghe in altri sette cantoni. Questo ci ha portati a scelte precise, come far operare il personale di sicurezza in abiti civili e non in divisa, ciò che ha un migliore impatto sugli utenti.
Quali competenze possiede nella gestione dei conflitti il personale di sicurezza?
È stata nostra premura fare intervenire personale con specifiche competenze di mediazione: il tentativo di de-escalation è sempre il primo passo, mentre l’intervento fisico è l’ultima ratio.
È già successo dall’apertura del Centro di impiegare misure coercitive, forza fisica o il fermo di breve durata?
Fortunatamente no, e siamo fiduciosi che la situazione continuerà in questo modo. La procedura applicabile in caso di lite è regolamentata. In caso di lite grave avvertiamo la polizia, ma nell’attesa dobbiamo poter proteggere le persone. Per questo ogni aspetto è regolamentato.
Nelle 9 pagine la parola ‘accoglienza’ compare solo una volta nella frase: ‘Il Centro conserva il fascicolo individuale di ogni beneficiario composto dalle informazioni raccolte all’accoglienza’.
La parte sociale e integrativa non è presente, ma semplicemente perché questo aspetto è di competenza del partner incaricato dal Dss per l’esecuzione di queste misure.
Qual è lo scopo delle recinzioni e delle telecamere? Che percezione hanno gli ospiti?
Da fuori la struttura può dare l’impressione di essere molto ‘protetta’, e lo conferma anche un piccolo sondaggio interno: all’inizio ci si può sentire un po’ osservati negli spazi comuni, dove sono presenti le telecamere. Dopo una settimana, però, la maggior parte degli utenti racconta di sentirsi davvero a casa. Va detto che le barriere fisiche non servono a “chiudere dentro”: le persone possono entrare e uscire liberamente. La configurazione è stata pensata perché il Centro è in un comparto attraversato da mezzi pesanti, pattuglie e viabilità prioritaria, quindi molto pericoloso, per cui le protezioni servono essenzialmente a evitare incidenti.
Gli ospiti possono uscire quando vogliono, ma entro limiti precisi: per le 23, salvo deroghe, devono rientrare. Perché questi orari? È mai stato dato un coprifuoco anticipato?
No, sempre alle 23. Così come viene fatto negli altri Centri in Ticino, è stato fissato un orario di rientro in quanto gli orari servono perché ci sono camere comuni: alcune persone lavorano e tutte hanno bisogno di riposo, in questo modo si evitano possibili situazioni di disturbo e di conflitto. Ma nessuno è costretto a restare dentro neanche dopo quell’ora, basta che chi ha esigenza di rientrare più tardi o di un congedo richieda un’autorizzazione. Si tratta di una semplice formalità che ci permette di sapere chi si trova all’interno della struttura in quanto siamo responsabili della polizia del fuoco. C’è ad esempio un ospite che lavora nella ristorazione e ha il permesso di rientrare dopo le 23.
Chi rientra tardi viene accompagnato in un locale dove si registra la motivazione. Alcuni dicono che sembra un ‘interrogatorio’.
A seguito di un rientro tardivo, la persona viene sentita così da poter spiegarne il motivo. La verbalizzazione avviene all’ingresso in modo informale. È una semplice presa di conoscenza. In caso di sanzione, questa viene comunicata all’ospite all’interno di una sala colloqui.
La sanzione parte subito allo scattare delle 23? Di che tipo è?
In generale i rientri tardivi non sono molti, circa 4 o 5 a settimana. La prima volta viene dato un ammonimento, che spesso e volentieri permette di chiarire l’incomprensione in merito alla procedura da seguire in caso di rientro dopo le 23. Manteniamo un certo margine di flessibilità, senza però eccedere, così da preservare l’efficacia delle regole ed evitare situazioni di disparità. In caso di recidiva, la sanzione può anche prevedere detrazioni economiche.
Il regolamento prevede 5 giorni per i reclami, senza effetto sospensivo: a chi ci si deve rivolgere? Non è un termine troppo breve?
Il reclamo può essere inoltrato direttamente alla Sezione: è rapido e immediato. Abbiamo preso spunto dalla base federale, che concede 3 giorni, e ne abbiamo aggiunti 2. I contatti li forniamo su richiesta e supportiamo chi vuole reclamare.
Nel Centro esistono spazi interni dedicati alla socializzazione o allo studio, oltre alle cucine e alle camere?
Nei pressi di alcuni piani cottura ci sono spazi multiuso con anche dei beamer per attività comuni. Per lo studio non c’è un locale dedicato, ma stiamo valutando se aprire a fine pomeriggio una sala colloqui che dopo le 17 non viene più usata. Il nostro invito è comunque a uscire e conoscere il territorio: per studiare è ad esempio possibile andare in biblioteca. D’altro canto gli utenti vanno già a fare la spesa autonomamente, cucinano, si recano dal medico quando necessario. Stiamo ampliando anche le attività facoltative da promuovere, spesso grazie alla messa a disposizione di accessi gratuiti da parte degli organizzatori. In agenda abbiamo la possibilità di assistere a una partita di calcio e altre attività presenti sul territorio cantonale. Tutto questo sempre in ottica di favorire la conoscenza del cantone, delle sue offerte e incentivare i contatti e i legami con la popolazione.
Qual è il suo bilancio di questi primi due mesi?
Personalmente sono molto contento di come si sta sviluppando il progetto, che seguo ormai dagli albori. Un aspetto importante è che abbiamo un approccio marmoreo: al contrario siamo coscienti che il sistema va adeguato, va sempre mantenuto in vita come un organismo, anche perché la situazione cambia man mano che arrivano gli ospiti. A ora tuttavia la rispondenza delle persone è buona e questo ci dà fiducia per il futuro.
Articolo pubblicato nell’edizione di mercoledì 10 dicembre 2025 de La Regione