Cyber, quando diventiamo zombie a nostra insaputa

Cyber, quando diventiamo zombie a nostra insaputa

Dal Giornale del Popolo | world trade center Norman Gobbi, Peter Regli e Angelo Consoli

Anche Internet, dove si crea ma nulla si distrugge, ha una memoria illimitata. Così si apre la via alla manipolazione dell’uomo. Senza bisogno di sangue, se si prende il «cuore».

Il dibattito sulla Cybercriminalità che si è svolto nell’ambito dell’Assemblea del 25° del World Trade Center (in parte già commentata nell’edizione di ieri), è stato animato da Prisca Dindo (Corriere del Ticino) e ha visto la partecipazione di Norman Gobbi, consigliere di Stato, Peter Regli, già capo del Servizio informazioni della Confederazione e Angelo Consoli, docente SUPSI.

Norman Gobbi, consigliere di Stato e capo del Dipartimento delle istituzioni, ha messo in risalto, rispetto al problema della cyber-security, il problema di salvaguadare la ricerca e lo sviluppo delle imprese, sia contro la pirateria, sia nel possibile blocco di progetti strategici delle imprese. In Ticino – ha detto – abbiamo 60-70 casi aperti oggi nei reati informatici. Pochi? Tanti? E sono tutti? Anche perché vi è un certo pudore a rendere noto di esser stati oggetto di attacchi informatici. Come già accade nei reati patrimoniali, perché diamo l’impressione di non essere stati pronti a parare il colpo. Sul piano dell’economia finanziaria, vi sono poi una trentina di casi per un importo di circa 10 milioni. Oggi in Ticino si assiste ad un minor numero di reati comuni, ma ad uno più elevato per i reati «moderni» ha detto Gobbi, che vertono sull’informazione (o disinformazione) e sulla gestione dei patrimoni. Questo serve ad «accendere la lampadina» e ad accrescere la corazza. Ma se sul piano individuale si può mettere la luce che illumina ad un arrivo indesiderato, lo stesso non avviene nei reati informatici. Tanto più che la Svizzera è una piazza assai «interessante». Ad esempio con i bitcoin, uno strumento agile che lascia poche tracce. Dunque occhio alla Ricerca e Sviluppo e ai nuovi prodotti. Anche perché per la bici si può mettere il lucchetto, ma il web non ha confini nel mondo. E se il reato non è ideato e commesso nel territorio svizzero, come uscirne? Aggiungendo che «il poliziotto è un passo indietro» rispetto alla libertà di movimento dei malintenzionati. Ecco dunque la necessità di mettere in comune le difese per essere sempre al passo coi tempi, ha concluso Gobbi.

Peter Regli, già capo del Servizio informazioni della Svizzera, ha commentato come oggi la scena politica sia percorsa da personaggi inquietanti. Il mondo non è mai stato così insicuro e il Cyber ne è solo un elemento. Anche il terrorismo, la migrazione, il salafismo (una minoranza molto perfida finanziata dall’Arabia Saudita, ha detto) si nutrono di «intelligence», istigando ordigni tipo «coltello o auto», perché secondo loro la democrazia è contro l’Islam. Il Cyber gioca un ruolo importante e qui l’attaccante è avanti di tre passi. Interviene nelle elezioni, col compito di interferire, paralizzare, distruggere. Che succede se per quattro giorni non funziona l’elettricità? Sono le infrastrutture critiche. È una guerra ibrida. Trump si nutre di notizie Fox, poi scrive il sui twit col suo Basic Instinct. Cinque ore dopo dice il contrario, causa un «casino» e si perde la fiducia. Insomma, il Cyber è solo un elemento del caos.

Allora, quo vadis? Secondo Angelo Consoli, la tecnologia è solo un mezzo. Oggi se vuoi far male, lo fai su scala mondiale. Una macchina infetta può far danni a tutti. E
ognuno ha la sua macchina in tasca (il telefonino). E noi siamo gli zombie. Qualcuno magari ci ha messo un baco che si attiva a comando. La privacy non esiste più. Un malaware ha infettato 30 milioni di computer e per il 2022 vi saranno 14,5 trilioni di connessioni. Tra l’altro, il 97% degli attacchi ha una componente umana. Per comodità o sbadataggine non siamo stati attenti. E il social media aumenta l’insicurezza perché si può manipolare l’umano e l’ego diventa «posseduto». Gulp. Oibò.

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