«Lo dico, non ho paura, ma sono preoccupato»

«Lo dico, non ho paura, ma sono preoccupato»

Dal Corriere del Ticino | L’intervista – NORMAN GOBBI – L’intelligence e lo sforzo comune che fa la differenza

Norman Gobbi, alla luce dell’operazione in grande stile di mercoledì per le nostre forze dell’ordine si apre una nuova fase?

«In effetti operazioni di questa portata non capitano tutti i giorni. Se le ipotesi di reato venissero confermate, si tratterebbe del primo arresto in Svizzera di un reclutatore dell’ISIS. L’operazione di mercoledì dimostra come l’allerta da parte delle Autorità cantonali e federali sia sempre molto alta. Lo ha ribadito anche il procuratore generale della Confederazione Michael Lauber martedì sera a Lugano. Quando si parla di minacce provenienti dalle organizzazioni criminali non si deve mai abbassare la guardia. Al contrario dobbiamo costruire antenne e sviluppare anticorpi per contrastarle».

Se dico che siamo entrati in una stagione contraddistinta dal sentimento del sospetto misto a quello della paura, come replica?

«Non dobbiamo essere spaventati, ma dobbiamo comunque essere preoccupati. D’altra parte non l’ho mai negato: il pericolo zero, quando si parla di terrorismo, non esiste. La Svizzera e il Ticino, pur non essendo un obiettivo primario, non sono esenti dalla minaccia terroristica. Piccole realtà urbane e villaggi come quelli del nostro Cantone, in cui regna un buon controllo sociale, non sono immuni da fenomeni criminali legati al terrorismo. Qualche tempo fa le forze dell’ordine italiane scovarono un luogo di radicalizzazione e di reclutamento dell’ISIS a Merano. In quell’occasione dissi che una minaccia analoga avrebbe potuto interessare anche il Ticino. Ma grazie al lavoro dell’intelligence è possibile contrastare e combattere l’insorgere di questi fenomeni».

Ma lei ha paura?

«Il mio approccio è molto pragmatico: non ho paura, ma sono cosciente dei rischi che minacciano non solo la Svizzera ma tutta l’Europa. E ovviamente ho fiducia nell’operato delle nostre forze dell’ordine. Come responsabile della sicurezza in Ticino sono convinto che gli sforzi comuni in questo caso possano davvero fare la differenza, per questo motivo continuerò a impegnarmi per garantire massima cooperazione con la Confederazione e le forze dell’ordine italiane».

Il cittadino ticinese deve continuare a vivere spensieratamente o deve iniziare a mutare i suoi atteggiamenti nei confronti delle categorie considerate più a rischio?

«Non dobbiamo creare allarmismo tra la popolazione. Quando parlo di collaborazione non intendo solo quella tra le forze di polizia: un ruolo fondamentale viene giocato soprattutto dai cittadini, che mi piace definire le nostre “sentinelle” vigili e attente sul territorio. Ogni situazione sospetta che viene percepita deve essere segnalata alla polizia cantonale. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che coloro che si avvicinano all’ISIS e si radicalizzano, mutano tendenzialmente il loro comportamento e il loro modo di apparire avvicinandosi al loro nuovo credo. Ragion per cui anche le comunità religiose presenti in Ticino devono essere più vigili, e avere con le autorità un dialogo trasparente e aperto».

Ieri sera si è aperto il carnevale Rabadan, che richiamerà a Bellinzona folla per diversi giorni. Il sistema di sicurezza è stato aumentato alla luce dell’inchiesta scattata poche ore prima?

«Come dicevo prima, la guardia era e deve rimanere alta. Alle nostre latitudini manifestazioni ed eventi non sono infatti l’obiettivo primario di attacchi terroristici».

In queste settimane il Governo si sta interrogando su nuovi possibili risparmi. C’è chi ritiene che l’organico della polizia, con il passare degli anni, si sia eccessivamente gonfiato. In questo settore ci sono margini di risparmio?

«La sicurezza rappresenta un elemento fondamentale nella vita di una persona. Un bene primario che lo Stato deve garantire a tutti i suoi cittadini. Sono quindi fermamente convinto che la sicurezza passa anche da un numero adeguato di agenti sul territorio. In questo senso sottolineo che l’adeguamento degli effettivi non è stato un esercizio di stile ma ha portato anche una serie di importanti risultati operativi tra cui ad esempio la diminuzione dei furti».

Si è parlato anche di intelligence, un concetto che in passato lo percepivamo per altre realtà. Alla base dell’inchiesta ci sono soprattutto contatti e informazioni raccolte in incognito o, magari, c’è stata anche parecchia fortuna nel fare combaciare il tutto?

«Non parlerei di fortuna. Tutt’altro. Un plauso va all’ottimo lavoro della Polizia cantonale. L’operazione infatti è partita a seguito di analisi e verifiche effettuate proprio dal nostro servizio d’intelligence. Dopo le verifiche e una volta identificate le ipotesi di reato il dossier, per competenza, è passato nelle mani del Ministero pubblico della Confederazione. Questo a dimostrazione che la scelta strategica di creare la cellula d’intelligence sia stata una mossa vincente».

Cosa può fare di più di quanto fa già oggi il Ticino per combattere l’insorgere di fatti preoccupanti e del manifestarsi di potenziali cellule terroristiche sul nostro territorio?

«Un fattore sicuramente fondamentale è lavorare sulla politica d’integrazione dei cittadini stranieri che giungono sul nostro territorio affinché facciano propri i valori di libertà e di democrazia. Uno sforzo collettivo che aiuta a evitare il rischio di emarginazione e di ghettizzazione dal tessuto socio-culturale locale di queste persone. Un rischio che, come emerso, potrebbe tradursi nel reclutamento da parte di organizzazioni terroristiche. E inoltre come ho già detto a più riprese è vero che i luoghi di culto non sono per forza luoghi di radicalizzazione, ma è pur vero che possono essere frequentati anche da personaggi radicalizzati e dai radicalizzatori. A questo proposito ribadisco che il dialogo tra le comunità islamiche e le autorità è necessario e va rafforzato per evitare l’insorgere di pregiudizi».

(Intervista di Gianni Righinetti)

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