«Polizia, una riforma non esclude l’altra»

«Polizia, una riforma non esclude l’altra»

L’intervista a Norman Gobbi. Il consigliere di Stato considera inevitabile il corpo unico, ma i tempi non sono maturi.

Le esternazioni di Norman Gobbi in favore di una polizia unica hanno susci­tato diverse reazioni critiche, prima fra tutte quella delle polizie comunali. L’as­sociazione di categoria ha espresso «di­sorientamento e stupore», considerato che il capo del Dipartimento delle isti­tuzioni è stato fino a questo momento fra i promotori più convinti dei lavori di implementazione della Legge sulla col­laborazione fra le polizie, per la quale ha fatto allestire anche un’apposita Conferenza cantonale consultiva sulla sicurezza. Entrata in vigore nel 2012, la riforma dovrebbe portare entro il 2015 ad una riorganizzazione delle polizie comunali su base regionale, tramite la costituzione di nove Comuni polo dota­ti di corpi strutturati di minimo sei agenti (cinque più il capoposto).

Ma come si può sostenere questa ri­forma e al tempo stesso parlare di po­lizia unica? Non si rischia di seminare confusione e di far perdere credibilità al lavoro in corso in questo momento con i Comuni?
«La volontà politica di creare una poli­zia unica è sicuramente più presente di due anni fa, ma il discorso è ancora lungo. Anche se dovesse arrivare, non sarebbe certo per domani. Nella mi­gliore delle ipotesi, sempre che ci sia una decisione politica, l’operazione ri­chiederebbe dai due ai quattro anni solo per passare all’eventuale fase prati­ca. E finora l’unica decisione politica è quella del marzo 2011 sulla collabora­zione fra polizia cantonale e polizie co­munali attraverso le regioni di polizia comunale governate dai Comuni polo. In corso quindi c’è un solo processo. Questo non toglie che anch’io abbia delle perplessità, che però non intacca­no la riforma».

Quali perplessità?
«Il numero delle regioni è sproporzio­nato. Spero che grazie alle aggregazioni le si possa ridurre nel Bellinzonese, nel Locarnese e nel Mendrisiotto. Come dimostra il Luganese che, pur avendo una popolazione superiore, forma già una regione unica».

Quello che ha detto a proposito della polizia unica non rischia quindi di va­nificare il lavoro in atto?
«La Legge sulla collaborazione è im­portante perché pone ai Comuni obiet­tivi e compiti che adesso non esplicano. Ci sono Comuni come Chiasso in cui si spendono 373 franchi pro-capite per la polizia comunale ( NDR cfr. tabella a fianco) e quasi la metà che ne versa meno di 20. Questo non è normale e porrà inevita­bilmente dei problemi o delle discus­sione fra i Comuni che offrono servizi di polizia e quelli che si devono conven­zionare, acquistando questi servizi. I due processi pertanto, polizia unica e polizie regionali, devono essere visti in parallelo. Sempre qualora ci fosse un chiaro indirizzo politico dovremmo poi vedere se procedere gradualmente o in una sola volta».

Quindi le due cose non si escludono e non c’è contraddizione nel sostenerle entrambe? «Quella della polizia unica è solo una visione strategica che non esclude un eventuale cambiamento nel prossimo futuro. Entrambe le polizie, quella can­tonale e quelle comunali, si stanno re­gionalizzando. Quando il processo sarà completato su ambo i fronti diventerà sicuramente più facile fare collimare le due cose. Personalmente non vedo dif­ficoltà in tutto questo».

A che punto è la regionalizzazione della polizia cantonale?
«La polizia per ora ha ricevuto il compi­to di studiarla. L’idea è di costituire una gendarmeria su base regionale in quat­tro settori: Luganese, Mendrisiotto, Bel­linzonese e Valli, e Locarnese e Valli. È un passo che aveva già suggerito in passato lo stesso capo della gendarme­ria Decio Cavallini, ma che era rimasto senza seguito. Condivido questa visio­ne perché mi rendo conto che dovendo intervenire da Noranco per il Sottoce­neri o da Camorino per il Sopraceneri, manca una prossimità sul territorio. Vogliamo anche fare in modo di affian­care agenti “anziani” ai giovani dei re­parti mobili, per insegnare a questi ulti­mi l’approccio con la gente e come rico­noscere determinati segnali sul territo­rio, importanti nella prevenzione e nel­la repressione della criminalità».

C’è appunto la questione della prossi­mità. Le polizie comunali sostengono che con la polizia si perderebbe il con­tatto capillare con il territorio. Anche la municipale leghista di Chiasso Ro­berta Pantani, capo dicastero polizia, ha rimarcato con preoccupazione questo aspetto.
«Regionalizzando si torna molto più vicini al territorio. Nel Basso Malcanto­ne ad esempio, la polizia cantonale sta già facendo un lavoro egregio di prossi­mità. Lo stesso vale per gli altri posti di Gendarmeria territoriali, così come i posti misti di Biasca e Faido. Per questo non temo un distacco dal territorio, anzi. Quanto ai Comuni, resto convinto che potranno sempre sfruttare l’oppor­tunità di dotarsi di assistenti di polizia ( NDR. la nuova figura professionale sarà proposta prossimamente a livello poli­tico) da impiegare come agenti di quar­tiere che tengono i contatti sul territorio e svolgono un importante lavoro di presidio e di controllo abitanti».

Ci sono tuttavia esponenti come il vi­cesindaco di Lugano Giorgio Giudici (cfr. pagina 9) e il sindaco di Biasca Je­an-François Dominé (vedi a lato) che lamentano insicurezza e mancanza di chiarezza.
«Le visioni strategiche del Dipartimen­to sono chiare, come pure quelle opera­tive. Come detto, i processi di regiona­lizzazione della Polizia cantonale e del­le Comunali corrono in parallelo e avranno quale risultato inevitabile quello della polizia unica. Pensiamo all’impiego delle risorse: oggi gli agenti comunali ricevono la stessa formazione dei gendarmi, ma operativamente sono limitati. Nell’interesse della sicurezza e del servizio al cittadino, meglio sarebbe disporre di agenti che sappiano rispon­dere sempre a qualsiasi sollecitazione, e questo sarà possibile solo con una polizia unica».

Corriere del Ticino, Giovanni Galli, 16.07.2013

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