Il “no” della Svizzera e il “sì” del Ticino

Il “no” della Svizzera e il “sì” del Ticino

Da www.rsi.ch/news
L’iniziativa per la limitazione e la divergenza fra il dato nazionale e quello del cantone.

Non mancavano certo i motivi d’interesse per gli esiti di queste votazioni federali. Un po’ per le incertezze dovute alla lunga impasse imposta alla politica dall’emergenza coronavirus. Un po’ per la singolarità di un appuntamento alle urne con ben cinque temi, tutti certamente di rilievo, sottoposti all’esame degli votanti. Ma larga parte delle attese, diciamocelo fuori dai denti, si concentrava sulla possibilità di una divergenza fra il Ticino e il dato nazionale sul risultato dell’iniziativa contro la libera circolazione. Era questo lo scenario evocato dagli ultimi sondaggi, ed è questo che alla fine si è concretizzato.

Di un Polentagraben in senso stretto non si può parlare, visto il “sì” all’iniziativa pronunciato da altri tre cantoni della Svizzera tedesca. Ma pur con questa premessa l’esito del voto in Ticino non può che indurre a più riflessioni: in relazione non solo alle percezioni di una certa distanza fra il cantone e la Berna federale, ma anche ad una sensibilità più pronunciata dei ticinesi sui temi che in un modo o nell’altro concernono l’immigrazione di massa e i rapporti con l’UE.

E l’esperienza del lockdown, forse, ha almeno in parte contribuito ad accentuare questi aspetti. Il Ticino, per mesi al centro dell’emergenza sanitaria nel Paese, sta ora pagando un prezzo particolarmente elevato per l’impatto della crisi sull’economia e sulla socialità. Al tempo stesso il cantone resta in prima linea anche sul versante di non pochi problemi correlati alla libera circolazione: dalle pressioni sul mondo del lavoro, fino alle questioni della fiscalità dei frontalieri e alle sollecitazioni a carico della mobilità e delle infrastrutture. Si tratta di dinamiche che si constatano anche in altre realtà periferiche del Paese. Ma che in Ticino hanno ormai da tempo assunto una valenza molto peculiare.

Su questo terreno restano senz’altro diffuse le aspettative di un’attenzione più mirata da parte della Confederazione. Non di rado, però, le risposte da Berna possono finire per alimentare la percezione di una certa distanza dai problemi e dalle specificità del cantone. Ciò si riscontra per temi come quello sottoposto ieri a votazione, ma anche per altri dossier di rilievo. Prova ne sia anche il clima di polemica verso Berna e di delusione che, in un Ticino già sensibilmente provato dalla crisi sanitaria, si è inevitabilmente diffuso dopo il recente ed ennesimo aumento dei premi di cassa malati: il più elevato nel raffronto cantonale.

Con tutto ciò non si deve però indulgere all’idea di un Sonderfall ticinese. L’iniziativa è stata infatti accolta ma, va rilevato, con una maggioranza di favorevoli nettamente inferiore a quella registrata nel 2014 per la modifica costituzionale contro l’immigrazione di massa. Un’evidenza, questa, che si presta a ulteriori riflessioni sull’evoluzione delle sensibilità rispetto a quanto si constatava solo fino ad alcuni anni fa. Ad ogni modo l’incidenza di determinate percezioni non va sottovalutata: fondate o infondate che siano, hanno comunque il loro peso e vanno gestite. Ed è ancora questo il dato che si impone all’attenzione della Berna federale, per un rinnovato approccio alla realtà e ai problemi del Ticino.

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