Il focolaio al confine preoccupa il Governo

Il focolaio al confine preoccupa il Governo

A Viggiù, a una manciata di chilometri dalla dogana momò, l’intero paese è risprofondato nel lockdown: scuole chiuse e spostamenti limitati, ma non per i frontalieri
Norman Gobbi: «I test di massa non sono sufficienti, bisogna anche collaborare e controllare la circolazione tra i due Stati»

Scuole chiuse e blocco totale degli spostamenti, ma non per chi si muove per motivi professionali. È quanto prevede il dispositivo scattato mercoledì a Viggiù, il piccolo comune a due passi dal confine con il Mendrisiotto tornato in zona rossa dopo le che autorità cittadine hanno identificato un focolaio in una scuola. Da un’analisi a tappeto, effettuata all’interno dell’istituto su docenti e allievi, sono emersi 14 casi di variante scozzese e un caso di variante inglese. Un numero considerevole che ha spinto le autorità a decretare il lockdown introducendo una serie di limitazioni importanti come, per l’appunto, il blocco totale degli spostamenti. Regole a cui tuttavia sfuggono i lavoratori frontalieri che muniti di autocertificazione possono transitare oltre confine. Al presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi, da sempre critico sull’apertura dei valichi minori in periodo di pandemia, abbiamo chiesto che impatto potrebbe avere sul nostro territorio questa decisione.

«Mobilità troppo elevata»
La situazione che si è creata a Viggiù, a una manciata di chilometri dai confini con il Mendrisiotto, preoccupa il Governo cantonale, ci conferma Gobbi. «Prendiamo atto con preoccupazione della nascita di focolai di variante scozzese a pochi chilometri dal confine, soprattutto tenendo in considerazione la mobilità estremamente elevata tra le vicine Province italiane e il Ticino – continua il presidente del CdS – , dovuta in particolare al considerevole numero di lavoratori frontalieri italiani che quotidianamente si recano nel nostro Cantone. Non per niente il Consiglio di Stato ticinese si è più volte rivolto al Consiglio federale chiedendo il rafforzamento dei controlli alla frontiera in coordinazione con le competenti autorità italiane».

Analisi a tappeto ma non solo
Con l’introduzione degli allentamenti in Lombardia a partire dal 1. febbraio, il Cantone ha infatti mandato una richiesta scritta a Berna chiedendo, in aggiunta al divieto di recarsi all’estero per andare al ristorante o a fare la spesa, anche di introdurre l’obbligatorietà di test rapidi alla frontiera per chi entra in Svizzera. Richiesta rimasta però inascoltata. Le analisi a tappeto sono però una delle misure attuate a Viggiù per controllare il propagarsi del virus, ma secondo Gobbi non bastano. «I test di massa sono uno strumento importante e forse decisivo per controllare e limitare lo sviluppo della pandemia. Tuttavia allo stato attuale la limitazione della mobilità delle persone, anche transfrontaliera, rimane uno strumento fondamentale nella gestione della crisi», spiega il consigliere di Stato.

Varianti e pericoli derivanti
Quel che serve ora, sostiene Norman Gobbi, è maggiore omogeneità nella lotta alla COVID dai due lati del confine. «Questi focolai di pandemia con la presenza delle nuove varianti e il confinamento di interi territori mettono ulteriormente in evidenza la necessità di un maggiore coordinamento transfrontaliero tra le competenti autorità sanitarie, volte anche a ridurre l’asimmetria delle misure ai due lati del confine».

In merito all’eventualità di introdurre anche in Ticino test a tappeto, per arginare il pericolo che si creino situazioni simili, il presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi si mostra possibilista. «In caso di necessità i test a tappeto sono già stati utilizzati. Ricordo, per esempio, la situazione alla scuola media di Morbio Inferiore alcuni giorni dopo i casi verificatisi nella casa anziani di Balerna. In condizioni particolari, quindi, potremmo ancora ricorrere a test a tappeto. La speranza ovviamente è che ciò non avvenga».

Articolo pubblicato nell’edizione di venerdì 19 febbraio 2021 del Corriere del Ticino