«La professione e il contesto sono in continua evoluzione»

«La professione e il contesto sono in continua evoluzione»

Matteo Cocchi festeggia oggi i suoi primi dieci anni nel ruolo di comandante della Polizia cantonale. È quindi il momento ideale per tracciare un bilancio e provare a guardare alle sfide che verranno.

Comandante, come si è evoluta la Polizia cantonale in questi dieci anni sotto la sua guida?
«Guardando con occhio retrospettivo a tutto quanto accaduto dall’ottobre del 2011, posso dire di aver portato un’ottima squadra a coordinare molti progetti, su più livelli e che hanno toccato l’insieme della struttura della Polizia cantonale. Pensiamo all’adeguamento degli effettivi o al superamento di alcune problematiche legate anche ai servizi di supporto (che hanno comunque un ruolo importante per il buon funzionamento dell’attività), passando poi per determinati fenomeni legati ai furti e ai flussi migratori, alle questioni legate alla prostituzione (operazione Domino), sino ad arrivare alla sicurezza dei grandi eventi (l’inaugurazione della galleria di base del San Gottardo nel 2016 così come la visita dell’allora Segretario di Stato USA Mike Pompeo), alla gestione della crisi pandemica e alle minacce legate alla recrudescenza del terrorismo che anche da noi non sono mancate. E tra le tante tappe di questi dieci anni non posso non citare quello che è un autentico fiore all’occhiello».

A cosa si riferisce?
«Mi riferisco alla Centrale comune di allarme (CECAL) che oggi riunisce sotto lo stesso tetto parte della struttura dell’Amministrazione federale delle dogane (AFD), il 118 dei Pompieri ticinesi e, da aprile, la sede ufficiale a livello cantonale di ricezione e trasmissione degli allarmi 144 su rete fissa e mobile. Si tratta di un unicum a livello svizzero del quale dobbiamo andare fieri».

E alla luce di questo percorso, come viene percepito il Corpo?
«Oggi la Polizia cantonale è riconosciuta a livello svizzero come un’ottima polizia. Lo abbiamo dimostrato in più occasioni sul piano operativo e ci siamo impegnati andando oltre quelli che sono i confini territoriali da Airolo a Chiasso: io per esempio sono delegato, nell’ambito della Conferenza svizzera dei comandanti di polizia, quale rappresentante della Confederazione, nel gruppo di lavoro europeo ATLAS che riunisce i comandanti dei vari corpi speciali di polizia europei oltre che Direttore dei corsi specifici dedicati ai Gruppi di intervento sotto il “cappello” dell’Istituto Svizzero di Polizia. Due funzioni che mi permettono di avere molti contatti in Svizzera e all’estero. Allo stesso modo, diversi ufficiali sono attivi in gruppi di lavoro a livello nazionale e questo ci permette di “far sentire la nostra voce” e di farci apprezzare per la professionalità che mettiamo nel nostro agire».

Come è cambiato il ruolo del Comandante? E quello dell’agente sul territorio?
«Quello di Comandante della Polizia cantonale è un compito affascinante e pieno di responsabilità, soprattutto in anni di grandi mutamenti come i nostri. La Polizia cantonale, in tutte le sue componenti, si evolve, fa un lavoro encomiabile e ha come missione di rispondere in maniera celere ed efficace ai bisogni dei cittadini. Questo in un contesto “liquido” in cui le nuove tecnologie vanno assumendo un ruolo sempre più di spicco, anche in termini di visibilità degli interventi ».

E quindi?
«Spesso ci troviamo confrontati con situazioni impreviste e le sfide per le Forze dell’Ordine si fanno più articolate in termini di prevenzione, specializzazione e collaborazione. Il nostro obiettivo è quello di reagire a un’urgenza cercando, dove possibile, di anticipare gli eventi con l’analisi e la ricerca di informazioni. Non mi stancherò mai di ribadire che la parte avversa è sempre “due caselle” più avanti per cui non è scontato anticipare le sue mosse e di conseguenza le possibili soluzioni. Da qui l’importanza della collaborazione, di essere più connessi e quindi più celeri».

In passato si parlava spesso di malumori in seno al Corpo, oggi di questo non si parla praticamente più: segno che la situazione «ambientale» è migliorata?
«Come Comandante, nel rispetto delle gerarchie, cerco, nel limite del possibile, di relazionarmi con tutti. Più volte sono al fronte, partecipo alle operazioni, frequento i posti di polizia e mi piace effettuare qualche turno in pattuglia assieme ai nostri agenti. Quando poi il Comandante è con chi è sul campo per interventi complicati, capita che qualcuno cerchi il suo sguardo, chiamato a reagire a seconda del momento con una parola o una pacca sulle spalle. Tutto ciò è fondamentale per rendersi conto del lavoro. Un capo deve farsi vedere, non può starsene chiuso in ufficio. Siamo una macchina complessa, ma anche una “grande famiglia” – e parlo senza retorica – che possiede le risorse e le capacità di affrontare le difficoltà».

Si è parlato invece in alcune circostanze di interventi un po’ troppo “robusti” di agenti, sfociati anche in denunce. Qual è il suo punto di vista sul “modus operandi” degli agenti in Ticino?
«L’agente deve avere la predisposizione a svolgere una professione che lo mette fortemente sotto pressione, che a volte impone di prendere delle decisioni in una frazione di secondo. In determinate circostanze, la polizia può, anzi deve, usare mezzi coercitivi nei limiti del principio di proporzionalità. È lo Stato stesso a conferirci questa facoltà attribuendoci un’importante responsabilità. Il modo di operare degli agenti nei diversi contesti è drasticamente cambiato e le dinamiche si sono evolute. Insistiamo molto in questo senso sia nel corso della formazione di base degli aspiranti (oggi articolata su due anni) sia nei tanti momenti di formazione continua. Un polso di come viene percepito il nostro lavoro è dato anche dall’importante numero di lettere di ringraziamento che giunge alla mia attenzione al Comando. Senza dimenticare l’ultima giornata di porte aperte svoltasi a Lodrino nell’autunno 2019 con oltre 6.000 persone accorse. Tante famiglie con bambini hanno lanciato un chiaro messaggio: la gente ci vuole bene».

La collaborazione con le Polizie Comunali è sempre d’attualità, e sullo sfondo vi è l’annoso progetto della Polizia unica: a che punto siamo su questo fronte?
«C’è un gruppo di lavoro che si sta chinando sulla tematica e le idee che ne usciranno potranno servire alla politica e alle istituzioni per decidere quale strada intraprendere. Ma sono adattamenti strutturali che dovranno essere decisi dalla politica. A noi toccherà metterli in pratica con professionalità e spirito collaborativo. In tema di collaborazione (e tornando alla CECAL), va aggiunto che, dalla fine dell’estate 2020, tutte le polizie comunali sono entrate a far parte del sistema di coordinamento immediato tra la Centrale stessa e le pattuglie. A fronte di un evento urgente e grazie alla geolocalizzazione, è possibile visualizzare in tempo reale la posizione di ogni pattuglia, consentendo alla Centrale di ingaggiare l’unità operativa più vicina. Questo ci permette di rispondere con più celerità alle esigenze dei cittadini che chiedono il nostro intervento ».

Uno dei suoi obiettivi è quello di incrementare le quote rosa all’interno del Corpo e dei Quadri: cosa ci può dire a tal proposito?
«Sin da subito ho espresso la volontà di accrescere la presenza femminile nel Corpo a tutti i livelli. Si tratta di una presenza importante e da valorizzare come dimostrato anche dalle ultime campagne di reclutamento e dal fatto che la quota di donne che hanno frequentato la scuola è in aumento. Spero che nei prossimi anni si possa far crescere anche la percentuale di quadri femminili in quanto possediamo un potenziale da non sottovalutare».

Dopo la demolizione dell’ex Macello, la realtà dell’autogestione è tornata di stretta attualità: il Comandante come si pone davanti alla tematica di chi chiede a gran voce spazi e infrastrutture dove potersi muovere in autonomia, e dove il compito di controllo e sicurezza delle Polizie diventa più arduo?
«Sulla questione dell’autogestione e degli spazi a disposizione, in termini generali, non posso che ribadire l’importanza di trovare una finestra di dialogo. Occorre sedersi a un tavolo e guardarsi negli occhi, così da individuare delle possibili soluzioni concordate e nel rispetto di chiare regole che dovranno poi essere rispettate».

Recentemente in Ticino è stato creato un nuovo Reparto giudiziario con l’intento finale di costituire un unico centro di competenza informatico e di intelligence: qual è lo scopo di questo progetto?
«Nel nuovo Reparto giudiziario 4 confluiranno i servizi già attivi nella raccolta, nell’elaborazione, nell’analisi e nella divulgazione di informazioni distribuiti in diverse Aree della Polizia cantonale. L’intero processo mira a garantire una migliore visione d’insieme e un migliore coordinamento di queste attività a beneficio dell’operatività del Corpo e della sicurezza della collettività».

Veniamo alla pandemia: la sensazione diffusa è che lei inizialmente era molto esposto mediaticamente, mentre nella seconda fase è rimasto più dietro le quinte. Ci spiega il motivo?
«Il mio ruolo durante la fase acuta tra marzo e giugno 2020 era quello di Capo dello Stato Maggiore Cantonale di Condotta. Il contesto, con la fine dello stato di necessità, è andato modificandosi. Fatta questa precisazione, va detto che ogni momento di una crisi, a seconda della situazione, ha le sue particolarità e necessità a livello di conduzione, di presenza (anche mediatica) o di puro lavoro di analisi e di pianificazione ».

Come guarda al futuro il Comandante Cocchi?
«È giunto il momento di consolidare e ottimizzare quanto fatto finora. Con la VISIONE 2025, la Polizia cantonale si prefigge di dare continuità all’evoluzione organizzativa attraverso la definizione di nuovi obiettivi, aggiornando ulteriormente la struttura. Questi i punti cardine: innalzare il livello di contrasto a una criminalità in grado di adattarsi facilmente all’evoluzione dei tempi e della tecnica; promuovere gli investimenti e gli aggiornamenti necessari al fine di mantenere, e se possibile migliorare, il livello qualitativo della tecnica; introdurre diverse figure specialistiche garantendo nel contempo il focus sui compiti generalisti; favorire gli scambi interni di personale nell’ottica del miglioramento formativo professionale. Detto questo, guardo al domani con entusiasmo rinnovato e voglia di fare. Tutto ciò con il medesimo slancio che mi motiva dal 1. ottobre 2011».

Intervista pubblicata nell’edizione di venerdì 1 ottobre 2021 del Corriere del Ticino