La riorganizzazione non è ancora finita

La riorganizzazione non è ancora finita

Intervista pubblicata all’interno dell’edizione di lunedì 4 marzo 2019 del Corriere del Ticino

Una panoramica sui locali centri di asilo e rinvio, tra chiusure mancate e nuove aperture

I centri di registrazione e rinvio della regione stanno per affrontare una nuova fase di cambiamenti. Negli scorsi mesi, il Cantone ha annunciato che il centro di Rancate, la cui chiusura era prevista nel 2018, rimarrà operativo pure quest’anno e probabilmente anche oltre. Allo stesso tempo, si è saputo che la struttura federale di Pasture, al confine tra Novazzano e Balerna, aprirà i battenti già nel 2019. A Chiasso, il centro di registrazione avrebbe dovuto abbassare le serrande nel 2023 ma la Segreteria di Stato per la migrazione (SEM) ci ha poi ripensato. Con il capo del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, affrontiamo il tema da un punto di vista regionale e allarghiamo il discorso alla sicurezza nel distretto.

Quando nel Mendrisiotto si parla di migrazione, più che della situazione globale spesso ci si riferisce alle singole – per quanto diverse – strutture: il centro d’asilo di Chiasso, quello unico temporaneo di Rancate e ora anche il futuro centro federale di Pasture. Quest’ultimo ha suscitato molto clamore per la propria ubicazione, per la vastità del progetto e, non da ultimo, per le polemiche sorte in occasione della serata informativa lo scorso settembre. Tenendo in considerazione questi aspetti e il delicato ruolo di intermediario del Cantone tra Comuni e Confederazione, come vede lo sviluppo della situazione?

«Ormai, da parte della Confederazione il dado è tratto visto che le procedure per la creazione del centro federale sono state avviate. La realtà è che il Ticino, anche per la sua posizione geografica, doveva essere protagonista del riassetto del settore dell’asilo entrato in vigore da pochi giorni, facendosi carico di un nuovo centro di registrazione e procedura in sostituzione di quello di Chiasso. La Svizzera centrale ha invece messo a disposizione una località in cui far nascere un centro federale di allontanamento, ospitando coloro la cui richiesta è stata negata e sono quindi in attesa abbandonare il Paese. Credo che le discussioni sorte attorno a Pasture siano state montate ad arte da alcuni rami della sinistra, anche perché le leggi sono state votate dal popolo oltre che dal Parlamento federale. L’impegno di tutti – Consiglio di Stato e Comuni – è ora quello di fare in modo che questa nuova struttura federale abbia il minor impatto possibile sulla popolazione residente».

Dopo i periodi di maggiore calca nel 2016 e vedendo i bassi numeri di affluenza odierni, è mai stata considerata l’eventualità di integrare il Cento unico temporaneo per migranti in procedura di riammissione di Rancate, gestito dal Cantone, nel centro di Pasture, risparmiando così sui costi di gestione (circa 660 mila franchi annui)?

«A suo tempo lo avevamo proposto alla Confederazione che ha però rifiutato perché sono due tipologie completamente differenti di ospiti. Chi arriverà a Pasture, come chi arriva oggi a Chiasso, tendenzialmente ha già superato le verifiche di sicurezza e la sua domanda d’asilo verrà avviata regolarmente. Chi viene ospitato a Rancate non chiede l’asilo ma entra illegalmente e viene quindi rispedito in Italia. Nel centro federale d’asilo, rispettando determinati orari, la gente può entrare e uscire liberamente, cosa che non avviene invece nella struttura di Rancate. Quindi ci sarebbe una difficoltà nel distinguere un tipo di migrante dall’altro e due località differenti aiutano sia a non fare confusione che dal punto di vista della gestione operativa delle strutture».

È anche vero che chi viene ospitato a Rancate, di solito, è per una o due notti e si tratta di cinque, sei, al massimo una decina di persone alla volta…

«Nell’ottica di ottimizzare i processi, l’eventuale chiusura della struttura di Rancate e la conseguente concentrazione delle attività in un altro centro è in effetti un’opzione che discuteremo nelle prossime settimane insieme alle autorità federali. In particolare, là dove oggi sorge il centro chiassese di via Motta, in prossimità della stazione, potremmo riunire tutte le procedure legate alla fase iniziale del percorso: il controllo dei migranti al loro arrivo e l’identificazione. Seguirebbe poi il loro eventuale accompagnamento verso Pasture nel caso volessero depositare una domanda d’asilo oppure, nel caso dovessero essere rispediti in Italia, potrebbero sostare in quella stessa struttura in via Motta in attesa del rinvio, approfittando così della vicinanza della frontiera e della gendarmeria».

L’ipotesi quindi di mantenere dei posti letto a Chiasso anche dopo l’entrata in funzione di Pasture è ancora attuale?

«Certo. E verrebbero così risparmiati i costi di trasporto da e per Rancate oltre a tutti i costi di gestione della struttura».

Rispetto al futuro centro di Pasture, il discorso che sembra maggiormente preoccupare Comuni e residenti è quello della sicurezza. È un problema reale?

«Se il numero di richiedenti l’asilo rimane stabile rispetto a oggi, il problema non si pone. Anche quando ci sono state crisi più importanti come nel periodo delle rapine del 2011-2012 o quello dell’onda migratoria del 2016, siamo sempre riusciti a garantire un ripristino celere della sicurezza. In questo caso, a maggior ragione, il dialogo tra Cantone e Comuni è stretto visto che potenziali situazioni di questo tipo vanno gestite insieme, evitando impatti negativi sulla popolazione locale e puntando su altre misure come la video sorveglianza».

Restando in tema di sicurezza, quella percepita dagli abitanti del distretto è migliorata parecchio rispetto a un decennio fa e lo dimostrano anche i bilanci delle polizie comunali e di quella cantonale. Tuttavia si torna comunque spesso a parlare della chiusura notturna dei valichi secondari. Lei cosa pensa al riguardo?

«Partendo dalla mozione presentata da Roberta Pantani su questo tema, la Confederazione ha deciso di optare, anche in questo caso, per un potenziamento della video sorveglianza. Credo sia una risposta più moderna a una necessità che effettivamente c’era. Una chiusura dei valichi, specialmente in zone come Marcetto o Pedrinate, sarebbe psicologicamente più rassicurante perché si trovano praticamente sulla porta di casa. Dall’altra parte, però, i sistemi odierni di video sorveglianza monitorano i veicoli in transito e, quando serve, aiutano ad identificarli e poi fermarli. Le telecamere sono quindi più efficaci ed è anche grazie a queste apparecchiature che si è riusciti a ridurre se non a debellare per esempio il fenomeno dei furti o delle rapine nelle case oppure quello dei passatori. La mozione Pantani ha tematizzato una preoccupazione che si è poi cercato di placare con altri accorgimenti; il Cantone non aveva però sottovalutato la portata del problema avendo cominciato a muoversi già nel 2011, periodo in cui erano stati messi in piedi tutti i dispositivi mobili coordinati tra polizia cantonale e guardie di confine per presidiare del territorio. Da lì si è iniziato a lavorare assiduamente in questo ambito arrivando poi alla riorganizzazione della gendarmeria, all’aumento degli effettivi e ad altre misure che hanno portato all’aumento della sicurezza percepita da cui siamo partiti nella domanda».