Licenza di uccidere? No, applichiamo le leggi

Licenza di uccidere? No, applichiamo le leggi

Da www.caffe.ch
Opinione sulla politica per gli stranieri
 
Ogni giorno i funzionari del Dipartimento delle istituzioni si svegliano, vanno in ufficio e revocano il permesso a uno straniero”. Iniziava proprio così un articolo pubblicato da questo giornale la scorsa settimana a pagina 5. “Licenza d’uccidere”, insomma, per questi funzionari. E il mandante non poteva che essere il sottoscritto. Si va a intervistare l’immancabile avvocatessa che più di qualche interesse in materia ce l’ha, facendola diventare la voce della verità. Ed è proprio la ricerca della verità che manca totalmente in questo articolo. Un peccato, ma siamo abituati a questo trattamento (uso il plurale perché con me vi sono tutti i miei collaboratori della Sezione della popolazione, pesantemente attaccati dall’articolo) quando si affronta il tema della presenza di stranieri in Ticino. Che siano richiedenti l’asilo o frontalieri o residenti stranieri con attività lavorativa o senza attività lucrativa non importa, tutti nello stesso calderone, per intorbidire le acque e non far vedere tutte le sfaccettature che ogni dossier di ogni cittadino straniero qui da noi porta con sé. L’autorità, a iniziare dal capo Dipartimento, deve applicare le leggi. Ciò vuol dire essere coerenti, responsabili e proporzionali. Severi nel modo corretto, non “cattivi”. Nell’articolo si citano alcuni casi, ma si forniscono solo indizi parziali, lasciando intendere che per un capriccio mattutino, da un momento all’altro, si possa decidere la revoca di un permesso. Ciò è fuorviante e soprattutto irrispettoso in primis per le persone straniere. Secondariamente per coloro che desiderano realmente comprendere le procedure in questa vasta materia e da ultimo, come detto, per chi lavora all’Ufficio della migrazione della Sezione della popolazione (a livello cantonale) e alla Segreteria di Stato della migrazione (Sem, a livello federale).

Qual è lo scopo? Suscitare sdegno, compassione e sostegno emotivo a favore delle persone straniere che sarebbero vessate da un’autorità senza alcuna comprensione nei loro confronti.
La realtà – e dunque la ricerca della verità – è invece un’altra. Ogni persona che è regolarmente presente sul territorio nazionale e nel Cantone deve avere un documento che legittima la sua presenza. Ciò vale sia per i cittadini svizzeri sia per gli stranieri. Dopo l’Accordo sulla libera circolazione tutti i cittadini degli stati membri hanno il diritto di libero accesso e i controlli sono svolti quando la persona straniera è già sul territorio. Ciò comporta forzatamente, se le condizioni non sono inizialmente comprovate e rispettate, o se vengono meno in seguito, che il permesso non sia rilasciato o che possa essere revocato, fissando un termine di partenza. Il rilascio e la revoca sono decisioni sempre valutate attentamente – caso per caso – e possono richiedere tempi prolungati per garantire la proporzionalità, la parità di trattamento e il diritto dello straniero di essere sentito. Le situazioni difficili, nel rispetto delle direttive federali, sono valutate tenendo conto di diversi fattori. La situazione economica negativa causata dalla pandemia Covid-19 verrà tenuta in debito conto non già “contro” lo straniero – come ha volutamente lasciato intendere l’articolo – ma a suo beneficio.
Prima di concludere vorrei confutare ancora un paio di affermazione di questo articolo (e che vengono sollevate dai media come un ritornello): il numero di revoche di permessi è elevato e contro le decisioni dell’ufficio vi è una miriade di ricorsi, la maggior parte dei quali accolti dall’istanza superiore. Vale la pena allora sapere che: nel 2019 i permessi attivi in Ticino erano 178’268 e le pratiche incamerate sempre nel 2019 erano 95’953. Le decisioni negative con termine di partenza emesso sono state 905 (di queste 93 per motivi finanziari). Ciò corrisponde allo 0.51% (0.05% per motivi finanziari) rispetto ai permessi attivi. Tanti? A me pare proprio di no! Sui ricorsi accolti o parzialmente accolti: il loro numero sulle decisioni del 2018 è stato di 48 su un totale di 421 ricorsi presentati (106 sono ancora in attesa di decisione). [ndr: i dati relativi al 2019 sono incompleti poiché le procedure sono ancora in corso].
La riservatezza sui dati personali impone, giustamente e necessariamente, alle autorità cantonali e federali di non citare o dibattere sui fatti di singoli casi. Quando i media forniscono informazioni e dati parziali insinuano dubbi e sfiducia verso le autorità. Si banalizza così tutto il lavoro, creando un ulteriore ostacolo alla vera conoscenza del problema.