«Mi piace decidere e me ne assumo le responsabilità»

«Mi piace decidere e me ne assumo le responsabilità»

I primi 100 giorni in Governo del direttore delle Istituzioni . Con il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi prosegue la serie di interviste del Corriere del Ticino ai tre nuovi consiglieri di Stato sui pri­mi 100 giorni in Governo. Gobbi parla a ruota libera della scelta del Diparti­mento, dei rapporti con Giuliano Bignasca, ma anche di quello che definisce «il cambiamento di registro e di musica» nella stanza dei bottoni. Poi riper­corre la contestata decisione di bloccare la metà dei ristorni dei frontalieri e dice la sua sulla collegialità. L’intervista a Manuele Bertoli è stata pubblicata il 21 luglio, quella a Paolo Beltraminelli seguirà nei prossimi giorni.

Come si trova al Dipartimento delle istituzioni?
Bene, anzi, molto bene. Non ho mai na­scosto che questo dipartimento mi inte­ressava anche perché diversi dossier li aveva già seguiti nel ruolo di parlamen­tare cantonale e federale.
E pensare che Giuliano Bignasca la vo­leva al Dipartimento finanze ed econo­mia…
Credo che Bignasca avrebbe voluto ve­dere se stesso al DFE, io non l’ho mai detto.
Come sono i vostri rapporti dopo quel­lo strappo iniziale?
Strappo? Direi che è stato promosso co­sì da chi voleva vedere i due consiglieri leghisti attaccati alla catena del presiden­te. Così non è stato in passato con Marco Borradori e non lo è neppure con me. Manteniamo la nostra indipendenza nel promuovere la nostra politica. Chi imma­ginava altro è stato sconfessato. I miei rap­porti con il presidente erano e restano ot­timi. Credo poi che come Dipartimento e come Governo ci sono già state decisio­ni o prese di posizione che hanno con­fermato il cambio di registro e di musica all’interno del Consiglio di Stato.
È stato utile avere lo scafato Borradori al suo fianco in questa fase d’introdu­zione?
Mi è stato d’aiuto nel comprendere i mec­canismi dell’Amministrazione. Lo stimo e lavoriamo bene assieme, come avvie­ne con altri colleghi su puntuali dossier. Ma io non voglio imitare nessuno, ho pre­so la mia via, poco diplomatica e concre­ta. Ad esempio non rinnego quanto det­to sulle aree nomadi.
Bignasca aveva minacciato di farvi le pulci su quanto avreste fatto nei primi 100 giorni. Si è già fatto vivo?
In questo periodo credo che non siano mancate decisioni importanti. Abbiamo trascorso 100 giorni intensi, anche con prove toccanti come la strage di Marra­kech che ha coinvolto anche la famiglia di un nostro collaboratore.
Ha dimenticato Bignasca.
Se vorrà fare qualcosa o definirci «gover­nicchio», lo farà senza che debba annun­ciarlo al sottoscritto. Ma mi sembra tran­quillo di questi tempi.
Lei aveva descritto le Istituzioni come un dipartimento azzurro, a matrice PPD. Come si è trovato in questo am­biente da leghista critico sull’eccessivo peso che i funzionari avrebbero sulla politica?
Ho cercato di snellire l’iter decisionale centralizzando i punti cardine dell’atti­vità nelle riunioni di direzione con i ca­podivisione e i caposezione. Diciamo che voglio sempre essere informato e devo dire che da parte dei funzionari la nuo­va linea è stata recepita positivamente. Questo, rispetto al passato, ha portato tutti a cambiare marcia.
Ma è vero o no che i funzionari erano abituati a tracciare la rotta delle scelte se non a comandare?
La tendenza era quella di pre-imposta­re una decisione e confezionare il pac­chetto prima di discutere con il consi­gliere di Stato. Oggi prima si discute, poi si elabora la proposta. Credo che sia la metodologia più logica ed è stato rece­pito positivamente dagli alti funzionari.
Ma c’è chi afferma che lei è un decisio­nista, nel senso che fa spesso di testa propria. È davvero così?
A me piace decidere, ma forse non sono l’unico. Ricordo che il giorno dell’asse­gnazione dei dipartimenti ad un certo punto con Paolo Beltraminelli ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: ‘Ades­so tiriamo in gol, altrimenti restiamo qui fino a domani mattina’. Io, per indole e carattere, sono disposto a dire la mia e a decidere assumendomi l’onere del mio atto. Non vorrei peccare di superbia, ma è quanto ho fatto dal 14 aprile ad oggi, è una questione caratteriale. I funzionari con me troveranno sempre disponibili­tà a discutere e coinvolgimento, ma la re­sponsabilità è, e sarà sempre, del sotto­scritto. La mia linea di condotta è questa.
In effetti un giorno, senza mezze misu­re ha detto: nessuna area per nomadi e scioglimento dell’omonima commis­sione. Scelta maturata o uscita un po’ azzardata?
Tutto deriva dalla politica in materia de­gli ultimi 15 anni, ostinatamente alla ri­cerca di terreni per aree nomadi che nes­suno vuole e che nessuno dice che sia­mo obbligati ad offrire (tranne per i no­madi svizzeri). Nei primi mesi ho volu­to vedere da vicino cosa si stava facendo e quali erano le risposte dei Comuni. Non voglio né posso obbligare nessuno. Se ci sarà chi si metterà spontaneamente a di­sposizione, bene, altrimenti io chiederò al Governo di mettere la parola fine, an­che alla Commissione nomadi che, man­cando il tema, risulterebbe semplice­mente inutile. Ho sul mio tavolo un rap­porto che sto valutando e sottoporrò ai colleghi.
Il giorno dopo il presidente del CdS Lau­ra Sadis le ha fatto una lezione sulla col­legialità. Come l’ha presa?
È un suo diritto farlo e richiamare chi non ritiene si sia attenuto alle regole. Poi quando ho sentito le sue parole nella conferenza stampa sui ristorni mi son detto che, la geometria è sempre varia­bile… Inoltre quando Manuele Bertoli ha presentato il suo ‘Pacchetto scuola’ non ci sono state immediate lezioni di colle­gialità.
Per lei cosa significa collegialità?
Poter discutere dei temi senza precon­cetti, prendere delle decisioni che, una volta consolidate, non vanno contesta­te con un ‘fuoco di ritardamento’ o met­tendo i bastoni tra le ruote.
Nella questione ristorni come ha vissu­to la telenovela su Beltraminelli che, seppur si sapesse da tempo da che par­te stava, non ha potuto fare valere la sua posizione collegato telefonicamente?
Come un eccesso di formalismo. E que­sto è uno dei mali della nostra ammini­strazione. Avere una forma non significa fare di questa il centro di tutto. Beltrami­nelli ha mostrato un profondo senso del dovere rientrando fisicamente a Bellin­zona pur trovandosi lontano e costretto ad una maratona tra aereo e auto. Forse qualcuno speculava credendo che non lo avrebbe fatto.
La denuncia presentata in Procura da un privato cittadino per presunto abu­so di potere è già finita in un non luogo a procedere. Come aveva vissuto que­sto atto nei confronti della maggioran­za del Governo?
Mi è sembrato di rivedere un brutto film girato negli anni Novanta a 100 km dal Ti­cino in direzione sud, fortunatamente fi­nito prima della pausa del primo tempo.
Lei ha detto che la decisione più diffici­le da aprile ad oggi è stata quella sul nuovo comandante della polizia. Per le competenze o per il colore politico dei candidati?
Non ho mai guardato al partito dei can­didati e il PLRT, che ha reagito perché al­la fine non ho scelto uno della loro area, ha preso un abbaglio. Voler rimettere la politica all’interno della Polizia sarebbe stato un clamoroso errore che avrebbe avuto l’effetto di creare delle bande. Il cor­po è uno e il comandante è uno. La poli­tica deve restare fuori. La realtà è che su questo dossier mi sono rimesso in gioco più volte sulle caratteristiche e le neces­sità. È stato difficile anche perché tutti e quattro coloro che sono arrivati alla vo­lata finale li conosco personalmente e li apprezzo.
Sono passati 100 giorni e dei neo-con­siglieri è quello che si è visto maggior­mente per appuntamenti pubblici. È un caso o proseguirà con questo stile?
Hanno contribuito le contingenze, ma anche la mia volontà di restare a contat­to con la gente.
Quando a metà agosto riprenderà a pie­no regime l’attività del Governo quale sarà la sua priorità?
Per le Istituzioni direi le aggregazioni: dobbiamo delle risposte a Mendrisio e Lugano. Importante è anche il tema del­la sicurezza e della giustizia: andrà valu­tata la logistica, le risorse umane e le in­frastrutture. Ci sarà da rimboccarsi le ma­niche.

INTERVISTA ■ NORMAN GOBBI Credo che Bignasca avrebbe voluto vedere se stesso al DFE. Io non l’ho mai detto. Le decisioni, una volta consolidate, non vanno contestate con un fuoco di ritardamento.

Corriere del Ticino, Gianni Righinetti

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