Perché non l’avete detto nel 2014?

Perché non l’avete detto nel 2014?

Articolo pubblicato nell’edizione di lunedì 28 maggio 2018 de La Regione

I giudici di pace sui dubbi del Consiglio della magistratura: perché non dirlo già nel 2014? In attesa della riforma, l’elezione del prossimo anno avverrà con il sistema attuale. Alain Pedrioli sulla perizia commissionata dal Cantone: ‘Sono ottimista’.

Stupore (e un po’ di rabbia) tra i giudici di pace ticinesi per la presa di posizione del Consiglio della magistratura sulla possibile incostituzionalità della loro funzione.

La tempistica non quadra. O quanto meno stupisce presso i giudici di pace. Perché il Consiglio della magistratura (Cdm) avrebbe già potuto esprimere i dubbi sulla costituzionalità della figura “alla ticinese” già nel 2014, all’interno del gruppo di studio ‘Giustizia 2018’. Sono invece emersi solo di recente, quando il messaggio sulla riorganizzazione delle giudicature stava per lasciare il Consiglio di Stato e approdare sui banchi del Gran Consiglio. Risultato: iter politico bloccato in attesa del parere di due professori dell’Università di Neuchâtel (vedi ‘laRegione’ del 15 maggio scorso) sulla questione. Tutto fermo, dunque. Tanto che le prossime elezioni decennali dei 38 giudici di pace e dei 38 supplenti, in programma il 10 febbraio 2019, avverranno con il sistema attuale. Ad annunciarlo è stato sabato a Bellinzona il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi intervenendo all’assemblea annuale dell’Associazione ticinese giudici di pace. Gobbi si è pure detto sorpreso dalle tempistiche scelte dall’organo che veglia sul funzionamento della giustizia per esprimere i propri dubbi. Lo stesso fa Alain Pedrioli, presidente dell’associazione, da noi interpellato: si dice addirittura «arrabbiato» per quella che ritiene essere una presa di posizione intempestiva. «Ho fatto parte anche io del gruppo di lavoro su ‘Giustizia 2018’. Posso capire che il Cdm ritenga che un giudice debba essere un giurista, ma se così è, lo doveva già dire nel 2014». La consegna del rapporto degli esperti neocastellani è prevista per la fine di giugno e sull’esito il presidente dell’Associazione giudici di pace si dice «ottimista». Qualora non venisse ravvisato nessun problema costituzionale riguardo al mantenimento di un giudice laico sul modello ticinese, da luglio il Dipartimento delle istituzioni ha già annunciato di voler istituire un nuovo gruppo di progetto per approfondire i punti aperti sulla riorganizzazione delle giudicature. «Non andrà stravolta, ma deve sicuramente essere resa più efficace» commenta Pedrioli. Niente taglio dei supplenti, come ipotizzato in un primo tempo, ma piuttosto una riduzione nel numero di giudici per favorire la pratica sul campo.

Formazione obbligatoria
Essenziale sarà poi la formazione di base che, dovrà essere resa obbligatoria: «Attualmente constato assenze durante i corsi annuali (di aggiornamento, ndr). È un peccato. Per noi, che non siamo professionisti della giustizia, la formazione è essenziale». Una mancanza di professionismo che Pedrioli indica come un punto di forza: «Credo che i cittadini vedano di buon occhio il giudice di pace. Spesso sembrano percepirlo come la soluzione ai loro battibecchi, alla difficoltà di parlarsi tipica della società d’oggi. Siamo mediatori e, a volte, proprio il fatto di non essere dei ‘tecnici’ della giustizia aiuta a trovare delle soluzioni».

Forte incremento negli incarti
Oltre 11mila incarti: il 2017 è stato un anno da record per i 38 giudici di pace ticinesi e per i loro supplenti chiamati a dirimere vertenze civili con valori venali inferiori ai cinquemila franchi. Rispetto al 2016, l’aumento è stato di 1’767 casi. Sul totale, 10’915 pratiche sono state evase entro l’anno. Un dato che il presidente dell’associazione di riferimento per il settore, Alain Pedrioli, ritiene estremamente positivo. «Nella maggior parte dei casi riusciamo a giungere a una soluzione definitiva in udienza di conciliazione» rileva. Solo l’1% delle decisioni è stato oggetto di un reclamo e solo il 30% di questi è stato accolto in toto o in parte. «È un buon segnale per noi – rileva Pedrioli –, significa che ci impegniamo per trovare una soluzione, e che quando poi decidiamo, lo facciamo con dovizia». Come spiegare però l’incremento di casi trattati? «È un aumento periodico – rileva il presidente dell’Associazione ticinese dei giudici di pace –, già anni fa si erano superati i 10mila casi. Non credo quindi sia sintomo di una tendenza al rialzo, quanto più un andamento ciclico». Positiva, infine, l’introduzione della presenza di avvocati alle sedute voluta a partire dal 2011, con la riforma del codice di procedura civile. «Si temeva potessero mettere in difficoltà dei giudici non professionisti, invece si è visto come spesso siano proprio i legali a favorire una soluzione consigliando con coscienza i propri clienti».

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