Piano cantonale delle aggregazioni: visione e concretezza condivise

Piano cantonale delle aggregazioni: visione e concretezza condivise

Da Gestione & Servizi Pubblici (editore Sacchi) |

Nel corso del mese di giugno di quest’anno il Consiglio di Stato ha dato formalmente avvio alla seconda fase del Piano cantonale delle aggregazioni. Il progetto che traccia le linee guida per ridisegnare la geografia locale del Canton Ticino. Le istituzioni non possono restare immobili in una società in continua evoluzione, con esigenze che necessitano dall’ente pubblico servizi e partnership non solo efficaci, ma anche efficienti.

Dopo anni di consolidamenti istituzionali spontanei, il Piano cantonale delle aggregazioni (PCA) – su richiesta del Parlamento tramite modifica della Legge sulle aggregazioni e separazioni dei Comuni – propone la visione cantonale sul futuro dei Comuni ticinesi. Non si tratta di una cartina arbitraria e calata dall’alto, ma di un approfondito lavoro di analisi a più livelli, che include il punto di vista dei molti attori che vivono da vicino il nostro territorio.

La prima fase del PCA si è concentrata sulla valutazione complessiva della politica aggregativa sin qui condotta, definendo il ruolo che il Comune riveste attualmente e che giocherà in futuro. In buona sostanza, l’ente locale è chiamato innanzitutto ad assicurare un determinato standard di servizi, ma dovrà esser sempre più motore di sviluppo e partner dinamico di progetti. Sulla base di questa impostazione e delle relazioni intercomunali attuali, sono stati individuati i potenziali scenari di aggregativi. Questa prima fase è già stata oggetto di una larga consultazione, dove Comuni, partiti, associazioni ed enti hanno potuto esprimersi liberamente.

Sulla scorta degli interessanti e costruttivi input ricevuti – come si dice, “dal basso” – la cartina è stata affinata e conta 27 Comuni, anziché i 23 inizialmente previsti. Di questi, oggi, già 8 ricalcano gli scenari previsti e 2 corrispondono quasi integralmente all’obiettivo cantonale. Un progetto capace di cesellare il necessario compromesso fra l’esigenza di prossimità e una dimensione amministrativa nella misura di erogare servizi di qualità e di promuovere progetti d’investimento d’interesse regionale.

La seconda fase si concentra invece sugli strumenti per concretizzare il PCA. Per i Comuni che determinano ancora una frammentazione istituzionale poco ottimale, occorrono regole affinché il processo aggregativo si sviluppi con coerenza ed entro un ragionevole lasso di tempo. Inoltre, assume una particolare importanza il coordinamento della riforma istituzionale con la riforma Ticino 2020, che intende riordinare flussi e competenze fra Cantone e Comuni: il chiarimento dei rapporti fra i due livelli istituzionali non può più fare riferimento a un “comune minimo”, ma necessita entità solide, operative e intraprendenti.
Oltre ciò sono stati anche previsti incentivi finanziari a sostegno dei Comuni, attraverso l’istituzione di crediti quadro la cui durata si estende fino a 6 anni dall’adozione del PCA da parte del Parlamento. Nello specifico, per i nuovi Comuni vi saranno un contributo alle spese di riorganizzazione amministrativa – aspetto essenziale per strutturare un’amministrazione locale ottimale – e un contributo agli investimenti di sviluppo capaci di stimolare il tessuto socioeconomico del nuovo Comune e della sua regione.

La scorsa fine di giugno ha preso dunque avvio una nuova tornata consultiva affinché i Municipi, i partiti rappresentati in Gran Consiglio e le associazioni di Comuni possano tornare a esprimersi su quanto proposto nella seconda fase del progetto. Questo a conferma di un approccio partecipativo, dove il futuro non viene di certo calato dall’alto.

Vero, in alcuni scenari – penso in particolare al Locarnese e al Luganese – una visione unanime e condivisa non è stata possibile da raggiungere, anche fra gli attori locali stessi. Ma la politica non può adagiarsi sugli stalli e nemmeno bloccarsi a oltranza. Il PCA costituisce un cantiere ambizioso? Certo, ma lungimirante – come la politica deve essere – e dove le proposte condensano un ragionevole equilibrio fra aspirazioni locali, esigenza di prossimità e una visione regionale coerente e dinamica.

Norman Gobbi,
Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle istituzioni

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