“Polizia ticinese” e corpi locali, il Dipartimento istituzioni illustra gli sviluppi del progetto

“Polizia ticinese” e corpi locali, il Dipartimento istituzioni illustra gli sviluppi del progetto

Servizio all’interno dell’edizione di mercoledì 14 novembre 2018 de Il Quotidiano
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Articolo pubblicato nell’edizione di giovedì 15 novembre 2018 de La Regione

Gobbi: “Nel 2019 alcune proposte di modifica della Legge sulla collaborazione tra Cantonale e comunali”

Si prospetta il ritorno in Gran Consiglio per la LcPol, la Legge sulla collaborazione fra la Polizia cantonale e le polcomunali varata nel marzo 2011 e in vigore a tutti gli effetti da tre anni, da quando sono operative le regioni di polizia comunale (oggi sette) facenti capo a Comuni polo. Un ritorno in parlamento per dare base legale ai primi capitoli del progetto ‘Polizia ticinese’ di cui si sta occupando il gruppo di lavoro costituito dal governo nel dicembre 2016. Tra i punti forti della revisione legislativa? L’aumento del numero minimo di agenti perché una comunale possa definirsi strutturata e dunque essere riconosciuta dalla LcPol – da cinque poliziotti più il comandante a quindici più il responsabile –, nonché l’assegnazione di nuovi compiti ai corpi locali, per esempio in materia di “legge sugli stranieri (dimore fittizie), incidenti stradali e commercio ambulante”.
È l’idea di manovra del Dipartimento istituzioni, che, spiega il suo direttore Norman Gobbi, conta di porre in consultazione le relative modifiche normative «la prossima primavera», così che «nell’estate 2019» il Consiglio di Stato abbia la possibilità di pronunciarsi su una bozza di messaggio. Licenziandola, si augura il ministro, all’indirizzo del Gran Consiglio. L’obiettivo della nuova organizzazione è di «migliorare ulteriormente» la cooperazione fra la Polcantonale e le comunali. Ciò «a beneficio dei cittadini, che quando sollecitano l’intervento della polizia devono confidare in una risposta celere», sottolinea Gobbi nella conferenza stampa indetta dal Dipartimento, e tenutasi ieri, per indicare i “prossimi passi” di ‘Polizia ticinese’.
Un progetto preannunciato nel giugno 2015 dallo stesso Gobbi in parlamento ritirando il messaggio governativo favorevole alla mozione del liberale radicale Giorgio Galusero che chiedeva un solo corpo di polizia in Ticino. Archiviato (pare) il dossier polizia unica, si sono quindi cominciate a studiare “nuove forme di collaborazione” tra la Polcantonale e i corpi locali.
Per questo il Consiglio di Stato ha incaricato un gruppo di lavoro, coordinato dal segretario generale del Dipartimento istituzioni Luca Filippini e composto di rappresentanti dei Comuni, della Cantonale e dell’Associazione delle polcom. Sugli scenari suggeriti per rendere maggiormente performante il dispositivo di sicurezza introdotto dalla LcPol, il governo ha avviato negli scorsi mesi una consultazione. «Hanno preso posizione sei Comuni polo, cinquantadue Comuni, di cui dodici dotati di polizia strutturata, associazioni e Ministero pubblico», ricorda Filippini: «C’è chi ha condiviso le proposte, chi ha rilanciato l’ipotesi polizia unica e chi si è espresso per lo statu quo». Controverso si è rivelato il ventilato incremento del numero minimo di agenti – contestato dalla «maggior parte» dei cinquantadue Comuni – affinché un corpo di polizia locale sia considerato strutturato. Cosa d’altronde prevedibile e comprensibile, visto che l’aumento degli effettivi mette a rischio l’esistenza di quelle comunali che attualmente dispongono di sei agenti, comandante compreso. Il Dipartimento puntava sulla formula venticinque poliziotti più il capo. Alla fine si è optato per quella auspicata dall’Associazione delle polizie comunali, ovvero quindici agenti più il comandante. Secondo il gruppo di lavoro l’incremento del numero minimo di poliziotti, che può passare anche «dall’accorpamento di due o più polizie comunali strutturate», è in ogni caso necessario: lo è, evidenzia Filippini, «per agevolare il coordinamento delle forze dell’ordine nella regione e per garantire un servizio sulle ventiquattro ore». Con il primo pacchetto di correttivi alla LcPol che il Dipartimento istituzioni intende tradurre in modifiche legislative da trasmettere al Gran Consiglio, si mira anche «a rafforzare il ruolo dei Comuni polo per un più efficace coordinamento nelle regioni di polizia», fa sapere Gobbi. Ma il progetto ‘Polizia ticinese’ contempla pure «una seconda fase»: il passaggio «graduale» da quindici a venti agenti più il comandante quale numero minimo per i corpi strutturati e la riduzione da sette a cinque delle regioni di polizia. Musica (forse) del futuro.

Bossalini: un numero che ci permette un controllo efficace del territorio
Presente alla conferenza stampa, Dimitri Bossalini, alla testa dell’Apcti, l’Associazione delle polizie comunali ticinesi, è visibilmente soddisfatto.
Per finire il Dipartimento istituzioni ha aderito – perlomeno per quel che riguarda la “prima fase” del progetto ‘Polizia ticinese’ – alla richiesta dell’Apcti: sì all’aumento del numero minimo degli agenti dei corpi locali cosiddetti strutturati, ma da cinque agenti più il capo a quindici più il comandante. Non oltre.
«Questa formula consente ancora un controllo efficace del territorio da parte delle polcomunali – dice Bossalini – . La situazione risulterebbe invece problematica passando a venticinque agenti più il comandante, come proposto inizialmente dal Dipartimento: in certe situazioni la nuova polizia strutturata si troverebbe infatti a garantire la sicurezza di prossimità in un territorio dove vi sono magari venti Comuni e altrettanti Municipi con esigenze diverse. Per il resto eravamo e siamo d’accordo con la necessità di una riorganizzazione del dispositivo introdotto dalla Legge sulla collaborazione tra Cantonale e polizie comunali». In prospettiva, e siamo alla “seconda fase” del progetto indicata dal Dipartimento istituzioni, si parla tuttavia di un incremento, sempre con riferimento al numero minimo di effettivi per le comunali strutturate, da quindici poliziotti più il comandante a venti più il capo, secondo la formula suggerita a suo tempo dalla maggioranza del gruppo di lavoro, del quale Bossalini fa parte. La seconda fase contempla pure la riduzione da sette a cinque delle regioni di polizia comunale e dunque dei Comuni polo. «Una diminuzione del numero delle regioni agevolerà il coordinamento tra forze dell’ordine», osserva il comandante della Polizia cantonale Matteo Cocchi, anch’egli nel gruppo di lavoro. Come Roberto Torrente. Il progetto ‘Polizia ticinese’, evidenzia il comandante della polcomunale di Lugano, «valorizza ruolo e competenze delle comunali. Migliora inoltre il coordinamento nelle regioni e con la Cantonale». Tant’è che una delle modifiche legislative cui sta pensando il Dipartimento prevede “l’obbligo per le pattuglie delle polcom di usare il sistema di auto alla condotta impiegato dal Cantone».
Articolo pubblicato nell’edizione di giovedì 15 novembre 2018 del Corriere del Ticino

A piccoli passi verso la polizia ticinese
Prevista una nuova suddivisione dei compiti tra Cantonale e comunali e un minimo di 15 agenti per i corpi strutturati.
Norman Gobbi: «Interventi graduali» – Roberto Torrente: «Valorizzato il ruolo di prossimità» – I timori degli enti locali.

Sono passati oltre tre anni da quando, spiazzando il Gran Consiglio, il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi ritirò il messaggio sul progetto
di polizia unica. Era il 24 giugno del 2015 e in aula il consigliere di Stato annunciò l’intenzione di ragionare a un disegno «di polizia ticinese più concreto e
costruito insieme ai corpi comunali e regionali ». Il frutto di queste riflessioni è ora maturo e, dopo l’esame da parte di un gruppo di lavoro ad hoc e un primo giro
di pareri, pronto per essere posto in consultazione nella primavera del 2019. Le preoccupazioni tra gli enti locali non mancano. In particolare c’è chi teme che
a seguito della riorganizzazione venga meno la conoscenza del territorio e con essa un servizio di prossimità adeguato. «Il progetto – ha però ricordato Gobbi –
punta a una migliore offerta del servizio di polizia sul territorio 24 ore su 24. Perché ai cittadini non interessa chi effettua l’intervento tra polizia cantonale e agenti
delle comunali, ma che s’intervenga». Da qui la necessità di pensare a un’impostazione della collaborazione tra forze dell’ordine (e della relativa legge cantonale)
più efficiente e finanziariamente sopportabile per i cittadini. Non tutti gli interventi strutturali inizialmente previsti hanno tuttavia superato lo scoglio della consultazione d’inizio 2018. «La strategia – ha rilevato Gobbi – deve godere del maggior consenso possibile e in tal senso abbiamo recepito le preoccupazioni
dei Comuni, prevedendo dei cambiamenti graduali». Ecco dunque che gli effettivi delle polizie strutturate in una prima fase dovranno essere portati dagli
attuali 5 a 15 agenti (più un comandante). «Il minimo sindacale» ha notato il direttore delle Istituzioni, che originariamente aveva posto l’asticella a 25 agenti
minimi. La soglia in questione era stata criticata apertamente dell’Associazione delle polizie comunali ticinesi, che ieri per bocca del suo presidente Dimitri
Bossalini ha espresso soddisfazione per il parziale cambio di rotta. «La maggioranza dei 52 Comuni che ha risposto alla consultazione si è detta contraria all’aumento degli effettivi» ha spiegato il coordinatore dipartimentale e presidente del gruppo di lavoro «Polizia ticinese» Luca Filippini. Per poi aggiungere: «Probabilmente non è passato il messaggio corretto. In molti hanno pensato che sarebbe stato necessario quintuplicare i propri effettivi, quando invece si tratterà di procedere a degli accorpamenti». Una soluzione, quest’ultima, che ha però fatto storcere il naso a Comuni come Stabio, sede di un corpo di polizia strutturata che nella propria presa di posizione rilevava: «Se l’obiettivo del Dipartimento è che le 24 ore vengano coperte sull’intero cantone da parte delle polizie comunali è sufficiente pretendere che le polizie strutturate siano costrette a garantirlo. Spetta poi a loro decidere se farlo attraverso una convenzione tra polizie strutturate, un
aumento degli effettivi, una convenzione con una polizia polo o una fusione tra più corpi di polizia strutturata. Ma non compete al Cantone entrare nel merito
dell’autonomia comunale». In merito Gobbi ha però replicato: «Accorpare non significa diminuire la presenza sul territorio. Significa invece valorizzare
il ruolo degli agenti delle comunali ed aumentare la capacità operativa delle forze dell’ordine a favore dei cittadini. E una manciata di piccoli corpi comunali
non è più in grado di rispondere a questa esigenza in termini di efficacia. Basta l’assenza di un agente è la polizia va in default». Ciò detto, le modifiche di legge
previste – che il Governo dovrebbe consolidare con un messaggio nell’estate del 2019 – oltre a concedere alle polizie strutturate un margine di 2 anni per adattarsi,
non contemplano alcuni interventi più drastici agendati in un primo momento. «Il numero minimo di 20 agenti per le polizie strutturate e la riduzione dei
poli regionali da 7 a 5 sono ipotesi che restano sul tavolo, ma che potranno semmai essere implementate in una seconda fase» ha chiarito Gobbi. La legge rivista,
oltre a rafforzare il ruolo dei corpi delle polizie polo all’interno delle regioni, codificherà invece i nuovi compiti delle comunali, secondo quanto previsto nel
quadro del progetto Ticino 2020. «Parliamo di compiti che si fondano sull’essenza del ruolo di agente comunale, quello della prossimità» ha indicato Gobbi:
«Dal monitoraggio dei disordini e dei rumori molesti, al controllo dei permessi nell’ambito della legge sugli stranieri, passando al commercio ambulante e alla
gestione degli incidenti stradali senza gravi conseguenze». In questo quadro c’è però chi guarda con preoccupazione alle nuove competenze in materia di polizia
giudiziaria che passeranno al livello comunale. «Con l’attuale organizzazione, ci sono chiari problemi di coordinamento e un’eccessiva frammentazione» ha però precisato il comandante della polizia cantonale Matteo Cocchi. «La separazione dei compiti è quindi cruciale» ha sottolineato, ricordando come attraverso
i suoi specialisti la polizia cantonale sia vieppiù chiamata a fornire risposte in operazioni intercantonali, collaborando con la Fedpol e sul piano della cooperazione
internazionale. Ma un giudizio positivo al progetto in rampa di lancia l’ha fornito anche il comandante della polizia della Città di Lugano Roberto Torrente: «Per i poli come il nostro è un buon progetto. Vogliamo delle polizie comunali forti, che sappiano rispondere alle nuove emergenze 24 ore su 24. La riorganizzazione
inoltre valorizza il ruolo e le competenze, in termini di prossimità, degli agenti locali, la cui professione diventa per altro maggiormente attrattiva».

 

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