«Vogliamo essere una voce per la politica di sicurezza»

«Vogliamo essere una voce per la politica di sicurezza»

Il brigadiere Stefano Laffranchini si candida alla presidenza della Società Ticinese degli Ufficiali – «Il nostro obiettivo è di essere più presenti nel dibattito pubblico: sempre meno persone entrano in contatto con il militare»
 
Cambio al vertice della Società Ticinese degli Ufficiali (STU): l’attuale presidente, il tenente colonnello di stato maggiore generale Manuel Rigozzi, ha raggiunto il limite di sei anni imposti dagli statuti dell’associazione. Il candidato alla successione è il brigadiere Stefano Laffranchini. Oggi, in occasione dell’assemblea annuale della STU a Chiasso, si terrà l’elezione del nuovo presidente.
 

È la prima volta che un brigadiere si candida a capo della Società Ticinese degli Ufficiali. Si tratta di un segnale da interpretare?
«No, il grado è indifferente. La presidenza della STU è un onore. Non è un segnale e non è rilevante con quale grado militare ci si occupa di questo ruolo. Ciò che conta è quanto si può coinvolgere i soci per raggiungere gli obiettivi che l’associazione si pone. Si tratta di essere a capo di persone estremamente eterogenee, ma accomunate da una cultura gestionale e da valori che vengono trasmessi dall’esercito».

La difesa e la sicurezza stanno tornando sempre più d’attualità nel dibattito pubblico. Quale deve essere l’impronta del nuovo presidente?
«Quello che vorrei è una Società degli ufficiali che possa prendere posizione attivamente sui temi legati alla politica di sicurezza e che contribuisca alla formazione delle opinioni. Viviamo in un’epoca di incertezze e cambiamenti non solo geopolitici e strategici, ma anche climatici, l’alluvione in Vallemaggia ne è un esempio. Non riguarda solo l’esercito, ma tutti gli aspetti della sicurezza integrata, la protezione civile, il servizio civile, la milizia».

Cosa rappresenta per lei la milizia?
«È quasi un concetto filosofico e forse la cosa più nobile che può fare un cittadino per il suo Stato. Significa mettersi a disposizione della collettività. È anche un modo per mantenere una coesione e per non ampliare il divario tra le istituzioni e il cittadino. Ciò vale per il militare, per la politica, le organizzazioni di primo soccorso e le associazioni benefiche. È un concetto che unisce e rende concreto il senso di appartenenza di un cittadino alla nazione».

Che ruolo è chiamata a svolgere, concretamente, la Società Ticinese degli Ufficiali?
«A volte notiamo che vengono pubblicate prese di posizione particolarmente ideologiche. In questi casi servirebbe una replica autorevole da parte di chi sa di cosa si sta parlando. Servirebbe un “nucleo di competenza”, in Ticino, che possa dialogare con la popolazione e dare voce agli ufficiali ticinesi. Spiegare, insomma, la posizione della STU e quella, di riflesso, dell’Esercito. Non solo nelle campagne di votazione, ma anche per dare risposte a perplessità e indirizzi strategici dell’esercito. Al giorno d’oggi sempre meno persone entrano in contatto con il servizio militare. E sono ancora meno quelle che possono beneficiare di una formazione militare superiore. Il numero di ufficiali si è infatti ridotto. Ai tempi si diceva che, per come è improntata, “la Svizzera non ha un esercito. La Svizzera è un esercito”. Oggi le cose sono diverse».

Parlando d’attualità: in questi giorni a Berna stanno per essere presentati due atti parlamentari. Il primo chiede di allentare le regole (inasprite nel 2010) per poter mantenere a casa il Fass-90 o la pistola al termine del servizio militare. La seconda mozione chiede nuovamente la consegna a domicilio delle munizioni tascabili (dal 2007 non è più possibile). Sono proposte che condivide?
«Sono condivisibili, ma la situazione è da osservare sulla base della situazione geostrategica, che dall’invasione russa in Ucraina nel 2022 è cambiata radicalmente. Bisogna decidere quale orientamento dare al nostro esercito e sono decisioni da prendere con largo anticipo. Tuttavia, quella delle munizioni a casa non è una misura impellente: pur considerando questi tre anni, forse è ancora presto per rivedere delle decisioni maturate nel corso di anni. Sono un po’ scettico anche sull’altra proposta, a meno che l’arma non venga conservata per scopi sportivi, anche se capisco che possa rappresentare un simbolo avere il fucile o la pistola a casa. Ai tempi rappresentava un senso di appartenenza: quando si entrava in una casa, si poteva vedere il moschetto del nonno».

I tempi, oggi, sono cambiati e il 2025 è l’inizio di un nuovo ciclo: un nuovo presidente della STU e anche della Società Svizzera degli Ufficiali (il ticinese Michele Moor). Oltre a ciò, con Martin Pfister, da aprile c’è un nuovo «ministro» della Difesa ed entro la fine dell’anno ci sarà anche un nuovo capo dell’Esercito. Quali sono i suoi auspici?
«Secondo me è importante il dialogo, affinché “l’ufficialità” nel suo insieme possa essere leale. Ed essere leale presuppone comunicazione e trasparenza. Non significa mentire: se i vertici dell’Esercito prendono una decisione, non tutti gli ufficiali ticinesi devono condividere questa posizione. Ma devono essere chiari i motivi che hanno portato a determinate scelte. D’altro canto, i motivi di disaccordo non devono per forza essere resi pubblici. Per come intendo io la gestione di un’associazione, ritengo che sia giusto esprimere dissenso, ma senza creare divisioni. L’immagine di quadri e di ufficiali poco uniti è la cosa peggiore in un periodo di instabilità come quello attuale».

Articolo pubblicato nell’edizione di sabato 3 maggio 2025 del Corriere del Ticino