Da Locarno al confine di Chiasso

Da Locarno al confine di Chiasso

Editoriale di Bruno Costantini, dal CdT dell’11 agosto 2016 | «Anche se le responsabilità stanno altrove, non possiamo fare finta di nulla: non dovremo essere ingenui e dovremo vigilare affinché la Confederazione non faccia con il Ticino ciò che l’Unione europea fa con l’Italia».

Nella mondanità nostrana li si trovano ovunque, belli, lisciati, con il bicchiere e il piatto in mano, quell’aria glamour da provincia soddisfatta (nonostante i continui lamenti contro quelli che ci ruberebbero il pane), il tocco sciallo-casual, lo sguardo apparentemente vispo, a volte svaporato tra le bollicine dell’ultimo brut. Ma sono trendy, nel luogo giusto al momento giusto. Sono lì, piacciono alla gente che piace. Sono loro, sono ovunque: sono i politici. Il Festival internazionale del film di Locarno, con i suoi diversi ricevimenti, i suoi luoghi di socializzazione spontanea da dove spedire tweet e selfie, il suo red carpet in piazza Grande, è una passerella imperdibile in questi giorni. La gente del Pardo ha tutto l’interesse a ingraziarsi la gente del Palazzo; la gente del Palazzo ha tutte le ragioni per andare a vedere come la gente del Pardo, pur con piena autonomia artistica, spende il denaro pubblico. E ci sta: l’unicità e l’internazionalità di Locarno, al di là dei riti scontati e consumati che fanno parte del copione qui come in qualsiasi altro Paese, hanno oggi finalmente archiviato l’annoso e noioso dibattito sui rapporti tra la rassegna e il suo territorio, anche quando, come successo nelle scorse edizioni, s’è scatenata qualche polemica. Tutti, o quasi, sono presenti. Chi non lo è, avrà sicuramente giustificati motivi: sarà su spiagge esotiche a leggere un buon libro (preferibilmente un saggio sul tramonto dell’Occidente), o in cima a una vetta per rovistare nell’intimo di se stesso (cioè in quello che la saggezza popolare definisce «spazzacà in disurdin»), o in viaggio culturale per il mondo alla scoperta dell’altro, che poi basterebbe andare a Ponte Chiasso, nemmeno a Como, per farsene un’idea. Qualcuno l’ha fatto. E infatti, l’evoluzione di quanto sta avvenendo alla frontiera, con la pressione di centinaia di migranti provenienti dall’Italia, impegna anche la politica in trasferta al Festival. Alla vigilia della decisione per il centro unico di Rancate, sul red carpet incontriamo il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, pensieroso sulle garanzie, anche finanziarie, attese da una Confederazione non sempre in chiaro sulla reale portata di quanto succede al confine sud del Paese e sui compiti che il Ticino svolge a beneficio dell’intera Svizzera, come dimostrano i numeri crescenti sui respingimenti forniti dalle Guardie di confine. Ieri la decisione ufficiale è stata comunicata dal Consiglio di Stato.

Tanto per evitare equivoci, a Rancate non ci sarà un centro per richiedenti l’asilo, ma un centro unico (anziché gli attuali tre, più uno di riserva, nelle sedi della Protezione civile) per accogliere temporaneamente (una notte) i migranti che non intendono chiedere l’asilo in Svizzera, ma che vogliono raggiungere il nord Europa, e che pertanto devono essere riammessi in Italia con procedura semplificata. È difficile immaginare come una simile struttura chiusa, che rimarrà attiva soltanto sino a quando il fenomeno si sarà esaurito, possa rappresentare una minaccia per la popolazione. Il surreale polverone sollevato dal gruppo Lega-UDC-Indipendenti di Mendrisio è uno psicodramma pretestuoso, un modo come un altro per segnare il proprio territorio elettorale locale anche a costo di smentire il proprio consigliere di Stato, certamente non sospettabile di essere uno «spalancatore di frontiere», in un gioco delle parti ben conosciuto tra leghisti, ma poco utile per trovare soluzioni razionali e coerenti. Il buonismo e l’esibizionismo parolaio politicamente corretti non risolvono ma nascondono i problemi; le polemiche artificiose, invece, offuscano le menti (magari già un po’ labili, su un fronte e sull’altro) e creano un clima che fa perdere di vista la realtà. Una realtà che il direttore del Dipartimento delle istituzioni, che ha invitato anche i suoi colleghi di partito ad abbassare i toni, e il Municipio di Mendrisio hanno deciso di affrontare con pragmatismo, di fronte a una situazione straordinaria che non può essere ignorata dal lato della gestione del flusso di persone che cercano di varcare la frontiera e da quello umanitario. A Como, provenienti dallo snodo centrale di Milano, arrivano famiglie, molti giovani, mamme con bambini piccoli, che fatichiamo a identificare tutti come sfaccendati, un po’ delinquenti, in viaggio di piacere. D’altra parte, la solidarietà transfrontaliera dal Ticino verso queste persone si è già attivata sul terreno, in particolare dopo l’appello dell’arciprete di Chiasso don Gianfranco Feliciani, le cui parole possono piacere o non piacere, ma hanno sempre il pregio di essere conseguenti nei fatti.

Certo, il problema riguarda l’Italia, lasciata sola da un’Unione europea la cui politica in materia di migrazioni rivela il suo totale fallimento (con l’ipoteca dei tre milioni di profughi che la Turchia minaccia di espellere se saltassero i suoi accordi con Bruxelles). Sconcerta, poi, la proposta di quel consigliere regionale lombardo del PD che, non si sa se per ignoranza o per furbesco scaricabarile, ha chiesto alla Svizzera di aprire un corridoio umanitario verso il nord Europa: una vera assurdità considerato che la Germania respinge i migranti illegali che si ritroverebbero così sul nostro territorio in un «cul de sac», come ha opportunamente commentato Gobbi.

In questo contesto, anche se le responsabilità stanno altrove, non possiamo fare finta di nulla. Non dovremo essere ingenui e dovremo vigilare affinché la Confederazione non faccia con il Ticino ciò che l’Unione europea fa con l’Italia. Il rispetto delle nostre leggi, la garanzia dell’ordine e della sicurezza per la nostra popolazione, sono valori sui quali non si può transigere, tuttavia nulla hanno a che vedere con la volontà di trovare la soluzione per gestire nel miglior modo possibile le conseguenze, su terra elvetica, di un problema anche umanitario che abbiamo a pochi metri da casa nostra. Altre bollicine?

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