A poche settimane dal voto federale di novembre, il dibattito sull’iniziativa Service Citoyen entra nel vivo. La proposta vuole estendere a tutte le cittadine e a tutti i cittadini l’obbligo di svolgere un servizio alla collettività o all’ambiente. Ma nel Ticino politico c’è chi mette in guardia da un cambiamento che, dietro l’idea di solidarietà, rischierebbe di indebolire proprio i pilastri su cui poggia la sicurezza cantonale.
Norman Gobbi, Consigliere di Stato e direttore del Dipartimento delle istituzioni, non usa mezzi termini: «Il problema non è l’impegno civico – che va incoraggiato – ma il modo in cui lo si vuole rendere obbligatorio. Questa iniziativa, se approvata, danneggerebbe la struttura di milizia e la prontezza operativa di esercito e protezione civile, proprio dove servono di più: qui, nel nostro Cantone.»
Il rischio di indebolire l’interventistica ticinese
Gobbi ricorda come, negli ultimi anni, il Ticino abbia dovuto affrontare emergenze naturali, frane, piene e crisi sanitarie che hanno richiesto l’intervento coordinato di esercito, protezione civile e autorità locali.
«In tutte queste situazioni – dalle piene del Maggia alle emergenze pandemiche – abbiamo potuto contare su personale formato, motivato e disponibile. Non possiamo permetterci un sistema che, invece di rafforzare queste forze, le indebolisce disperdendo energie in mille forme di “servizio civico” poco definite», afferma.
Secondo la posizione del comitato del NO, l’iniziativa metterebbe a rischio l’attuale equilibrio tra difesa e supporto alla popolazione. «L’obbligo di servizio generalizzato – spiega Gobbi – indebolirebbe il reclutamento per l’esercito e la protezione civile. La Svizzera si fonda su un principio semplice: chi presta servizio lo fa per garantire sicurezza e aiuto concreto. Ma se tutto diventa “servizio civico”, allora nulla lo è più davvero.»
Il costo e il rischio di “burocratizzare” la solidarietà
Gobbi vede anche un problema di scala: «Il Ticino, come gli altri Cantoni, si troverebbe con un numero doppio di persone da collocare in qualche tipo di attività civica. Chi le gestisce? Chi le forma? Chi le paga? Sappiamo bene quanto costi già oggi organizzare la protezione civile o l’aiuto in caso di catastrofi – aggiungere decine di migliaia di nuovi obbligati creerebbe un apparato amministrativo enorme, con spese che nessuno ha quantificato seriamente.»
Nella documentazione ufficiale del fronte contrario si parla infatti di costi supplementari per miliardi di franchi, oltre a una «distorsione del mercato del lavoro» e un rischio di concorrenza sleale con il volontariato retribuito. Gobbi sintetizza: «Un obbligo di servizio civico finirebbe per burocratizzare la solidarietà e togliere spazio al volontariato vero. Il volontariato nasce dal cuore, non da un formulario dello Stato.»
Un volontariato che funziona già
Il Consigliere di Stato ricorda come il Ticino sia già una terra di milizia e impegno locale: «Abbiamo migliaia di persone che si mettono a disposizione: pompieri, militi della protezione civile, società di soccorso, patriziati, associazioni culturali e sportive. Funziona perché è spontaneo e perché ognuno sceglie dove dare una mano. Imporre a tutti un anno di servizio obbligatorio rischia di svuotare questa motivazione.»
Nel documento del fronte del NO si sottolinea infatti che il Service Citoyen «minaccia l’impegno volontario autentico». Gobbi concorda: «Io credo nel valore del dovere, ma anche nella libertà di scegliere come contribuire al bene comune. Lo Stato può favorire l’impegno civico, non comandarlo.»
Il messaggio finale agli elettori
Alla domanda su cosa direbbe ai cittadini ticinesi prima del voto, Gobbi risponde senza esitazione: «Dobbiamo riflettere su cosa serve davvero alla nostra comunità. L’iniziativa vuole promuovere l’impegno, ma rischia di smontare ciò che funziona: l’esercito di milizia, la protezione civile, il volontariato. Se vogliamo rafforzare la solidarietà, investiamo nella formazione, nel riconoscimento del servizio già svolto, non in un obbligo generalizzato che crea costi e confusione.»
E conclude con tono fermo: «Per questo invito a votare NO il 30 novembre. Non per egoismo, ma per preservare ciò che rende la Svizzera forte: la responsabilità libera, non imposta.»
Articolo pubblicato nell’edizione di domenica 2 novembre 2025 de Il Mattino della domenica