Professionisti della politica?

Professionisti della politica?

Articolo pubblicato nell’edizione di mercoledì 17 gennaio del Giornale del Popolo.

Il voto del 21 gennaio sugli onorari dell’esecutivo di Bellinzona e l’analisi tecnica di Elio Genazzi.

Secondo il capo della Sezione enti locali, gli amministratori comunali, seppur retribuiti, dovrebbero mantenere un profilo di servizio pubblico

Sul referendum del 21 gennaio a Bellinzona, che riguarda sostanzialmente gli emolumenti dei municipali (art. 91) abbiamo sentito il parere di Elio Genazzi, responsabile della Sezione enti locali del Dipartimento istituzioni, il dirigente cantonale che più di tutti in questi anni ha seguito i processi aggregativi e i rapporti con le amministrazioni locali.

È sempre più difficile nelle amministrazioni locali trovare persone disposte ad assumersi responsabilità con una retribuzione che definiremmo simbolica. È il caso di rivedere in chiave professionistica il ruolo di amministratore comunale?
Occorre innanzitutto premettere che amministrare un Comune è oggi ben più complesso di non quanto non lo fosse nel passato. L’amministratore comunale è infatti confrontato con un quadro legislativo molto più denso ed articolato, dovuto non tanto ad una burocratizzazione della politica, quanto piuttosto alle esigenze di una società sempre più complessa ed esigente. Al politico è di conseguenza richiesta una sempre maggiore preparazione. Dalla politica d’intuito si è passati alla politica basata sulla competenza, anche tecnica, che impone ai membri degli esecutivi comunali una conoscenza sempre più approfondita della materia e delle procedure, sempre più complesse e intricate. In altre parole la sola vocazione, seppur indispensabile, non è oggi più sufficiente. Per quanto le aggregazioni comunali abbiano permesso ai Comuni di dotarsi di amministrazioni sempre più organizzate e performanti, la responsabilità ultima sulle decisioni e sulle procedure permangono al politico, al quale, rispetto al passato, non è tuttavia più concesso di commettere errori. Senza dimenticare che accanto all’assunzione della responsabilità di governo ai politici è richiesto un ruolo importante di rappresentanza e di relazione con il cittadino, fonte di un impegno non indifferente. Per sua natura, si tratta di una questione ricorrente in tutti i Comuni, a maggior ragione si pone in quelli più popolosi. Ma il vero problema è sapere quanto tempo sindaci e municipali debbano effettivamente dedicare alla loro carica e, soprattutto, se quest’ultima consente loro di normalmente svolgere ancora una professione, tale da rendere sostenibile il proprio impegno politico anche da un punto di vista finanziario personale e famigliare. È fuor di dubbio che il tempo da dedicare alla politica è rilevante; ciò pone tutta una serie di problemi sia nel caso del libero professionista che dello stipendiato. In definitiva è una delle cause per cui molti potenziali candidati rinunciano a mettersi a disposizione per gli esecutivi. Si tratta di un dettaglio, che non va affatto sottovalutato e di cui i cittadini debbono tener conto. Si tenga inoltre presente che il membro di Municipio assume la sua carica nell’ambito di una elezione. Il suo rapporto con il Comune non è perciò assimilabile ad un contratto di lavoro, bensì ad un mandato a scadenza quadriennale. In realtà si tratta di un patto di fiducia con la cittadinanza, che non può essere condizionato da regole riguardanti il tempo e la qualità del lavoro da svolgere. Se così non fosse svaluteremmo completamente il senso del far politica.

Quali sono, a suo parere, i limiti di una politica di militanza e, invece, di un professionista della politica?
Dato per scontato che il tempo richiesto ad un municipale è generalmente molto, è importante oltre che corretto che l’attività politica non divenga un aggravio eccessivo, non più sopportabile dal punto di vista finanziario. Di conseguenza, se il tempo messo a disposizione non impone una sostanziale riduzione dell’attività lavorativa – ciò che rimane il caso in un Comune piccolo – è pensabile che l’emolumento rimanga un’indennità simbolica, tipica della politica di milizia. Quando per contro l’impegno diviene importante e va ad incidere sulla normale attività professionale, s’impone un riconoscimento finanziario più corposo, a remunerazione di dispendio di tempo e risorse che di fatto corrisponde ad un’attività a tempo parziale, se non a tempo pieno. Va inoltre considerato che la rinuncia parziale o totale alla propria attività lavorativa, in caso di mancata rielezione, tanto più per il lavoratore dipendente, comporta un non facile riaggancio alla vita professionale. È perciò illusorio ritenere che i gravosi impegni di un municipale e di un sindaco, possano essere svolti esclusivamente a titolo accessorio e retribuiti come tali. In quest’ordine di cose occorre inoltre porsi la questione se la retribuzione del membro dell’esecutivo debba o meno contemplare, oltre alla partecipazione, peraltro obbligatoria al primo pilastro (AVS/AI/IPG), una copertura pensionistica legata anche al secondo pilastro (cassa pensione). Buona parte delle Città svizzere, compresa Lugano, lo prevedono; la proposta in votazione a Bellinzona il prossimo 21 gennaio, no. Per quanto raramente messo in evidenza nel dibattito in corso, si tratta di un dettaglio non trascurabile, che ridimensiona peraltro verso il basso di un buon 20-25% l’entità degli onorari resi noti, poiché impone al sindaco e ai municipali di assicurare autonomamente, ad esempio attraverso la stipulazione di un terzo pilastro, la propria previdenza.

Si potrebbe definire un tetto (abitanti, bilancio, ecc.) per passare da onorario a “stipendio” di municipali e sindaco?
Credo fermamente che le condizioni di fissazione e l’entità degli emolumenti da attribuire al sindaco e ai municipali debbano rimanere una prerogativa legata all’autonomia dei singoli Comuni. Anche negli altri Cantoni svizzeri, per quanto mi sia stato possibile verificare, la scelta è demandata ai Comuni e non vi sono vincoli cantonali. Diversi Comuni svizzeri, in particolare, a partire da un certo grado di professionalizzazione parziale elevata, si chinano agli aspetti pensionistici con specifiche norme di regolamento.

C’è la possibilità di introdurre una formula mista, magari con un’indennità di perdita di guadagno per l’a mm i n i s t rato re pubblico?
Dal mio osservatorio non credo che la proposta di indennizzare la perdita di guadagno del singolo municipale, formulata nel corso del dibattito, possa costituire una soluzione adeguata. La stessa non farebbe altro che banalizzare la carica, rendendo ingiustizia per coloro che svolgono un’attività professionale meno remunerata. In fondo il ruolo di municipale comporta una pari dignità, pari compiti e responsabilità per tutti gli eletti.

Ci sono altri Comuni in Ticino che hanno avanzato ipotesi di professionalizzare la politica?
Gli onorari riconosciuti al sindaco ed ai municipali di Lugano (circa 63.000 abitanti) sono già assimilabili ad una professionalizzazione parziale della carica. Negli altri Comuni del Cantone, gli onorari sono per lo più commisurati alla loro grandezza, fatta eccezione per Mendrisio, i cui onorari sono più bassi.

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