«Con gli anni sono cambiato ma qualche libertà me la prendo»

«Con gli anni sono cambiato ma qualche libertà me la prendo»

Intervista pubblicata nell’edizione di martedì 29 dicembre 2020 del Corriere del Ticino

 

Abbiamo incontrato il presidente del Governo Norman Gobbi per una chiacchierata a tutto tondo. Ma non solo sull’anno difficile ormai agli sgoccioli, toccando diversi ambiti. Un ritratto tra il personaggio pubblico, il consigliere di Stato e l’uomo, la vita privata.

Qual è la cosa più bella che le è capitata in questo 2020?
«Sicuramente il fatto di aver riscoperto alcuni valori mentre tutto si fermava e la nostra vita cambiava. Quando tutto ha chiuso sono rimasto molto a casa e ho dedicato il mio tempo alla famiglia, a mia moglie e ai miei figli».

E quella più brutta?
«Il distacco da diverse persone care in una situazione in cui non si poteva vivere in maniera compiuta il cordoglio. Ho detto addio a mio nonno, ad Attilio Bignasca e a Oviedo Marzorini. Se ne sono andate diverse persone alle quali ero davvero affezionato da una vita. Sento di mandare un segno di vicinanza a tutti coloro che hanno sofferto e hanno avuto lutti. Mesi difficili per tutti».

Il fatto di essere presidente del Governo ha cambiato il suo modo d’essere e di porsi?
«Dopo dieci anni in Governo sono comunque cambiato, il ruolo con il tempo ha un influsso nel modo di essere e di porsi. In sostanza aiuta a maturare, ma questo non toglie che, ogni tanto, qualche libertà me la prendo. È il mio modo di essere, altrimenti non mi sentirei più il Norman che tutti conoscono. Qualche battuta, magari fuori dalle righe o sopra le righe, qualche volta ci sta, siamo tutti uomini (o donne)».

Eppure c’è chi sostiene che c’era un Gobbi pre-elezioni 2019, affabile e sempre pronto alla battuta. E un Gobbi post-elezioni 2019 (chiuse con una valanga di voti). A chi sostiene che quel successo l’ha cambiata e l’ha reso meno popolare cosa risponde?
«Meno popolare? Forse perché quest’anno non ho potuto fare alcuna festa popolare perché sono state cancellate. Non c’è stato San Provino e San Martino, momenti di incontro che mi sono mancati eccome. È in quei momenti che tasti il polso e percepisci i sentimenti della popolazione. È cambiata la situazione, non io, in maniera radicale in pochi mesi. Chi passa davanti a casa mia lo sa bene quanto io rimanga in tutto e per tutto Norman, poco importa se ci diamo del tu o del lei. Qualcosa da raccontare la trovo sempre con chiunque. Adoro il contatto e lo scambio con le persone. Purtroppo le occasioni di questi incontri sono diventate più rare».

Quante ore dorme ogni notte il presidente del Governo?
«Tra 5-6 ore. D’inverno anche qualcosina in più. Ma non sono di certo un dormiglione. Mi piace fare, non dormire».

È lei che sveglia moglie e figli?
«No, non faccio troppo rumore. Chi vuole dormire a casa Gobbi lo può fare senza problemi».

Chi la segue su Instagram ogni mattina, verso le 6, o anche prima, raramente molto più tardi, trova il suo “buondì” con immortalata la chiesa di Nante. Perché ha inaugurato e mantiene questa tradizione?
«Ho iniziato per caso, poi visto che è una bella prospettiva, l’ho mantenuta. Il sole sorge da quella parte e quella vista permette un’interessante prospettiva anche sul cambio delle stagioni e spesso il cielo è ancora stellato. Mi risponde una decina di persone mentre la story la vedono in circa 2.000. Stranamente ho sempre vissuto vicino a delle chiese, prima a Piotta, poi a Minusio e ora a Nante. È fin curioso».

Ma la chiesa la guarda solo da lontano o la frequenta?
«Vedere una chiesa e fotografarla vuol dire quasi frequentarla».

È un credente praticante?
«Sono credente, ma non praticante».

Veniamo a queste feste. Cosa faranno Norman Gobbi e la sua famiglia?
«Rispetteremo le regole e questo è essenziale. Saremo in famiglia e non più di dieci, con mio fratello e mia mamma».

In queste occasioni riesce a staccare la spina o il lavoro la segue sempre e ovunque?
«Sono capace a staccare ed è stato così nei giorni di Natale. Ovviamente quando sei in vacanza e succede qualcosa devi essere sempre pronto a intervenire. E per me è sempre stato così».

Quanto sono stati pressanti i media nel chiederle interviste in questi mesi di pandemia?
«Io sono sempre stato disponibile, non solo in questo periodo. La differenza è che prima venivo interpellato su diversi temi, nella fase pandemica le domande sono state sempre le stesse. Ma mi rallegro che questa intervista è diversa dal solito. Bene».

Non so più dove ho letto che parlava di sua moglie come una donna di gran pazienza. Significa che in casa Gobbi la variabile difficilmente gestibile è lei?
«Forse Elena è molto paziente perché, di regola, sono poco a casa (pandemia permettendo) e deve gestire due bambini come Gaia e William, bambini intelligenti e vivaci».

Moglie che, ricordiamolo, ha conosciuto a palazzo delle Orsoline quando lei era un giovane parlamentare ed Elena gestiva la buvette. Ha un qualche aneddoto di quell’epoca?
«Ero un bambino, di certo un baby deputato. Nel 1999 e nel 2003 ero il deputato più giovane in Gran Consiglio. Con il 1. gennaio saranno 20 anni che Elena ed io stiamo assieme e siamo sposati da 12 anni. Tanti aneddoti, ma politici, quelli sentimentali non vanno resi pubblici» (n.d.r. e sorride).

Ci racconti allora…
«Era un modo di vivere la politica che oggi non c’è più, i bei tempi in cui tra parlamentari (al di là degli schieramenti partitici) si riusciva a fare squadra parlandosi e trovando delle soluzioni. Spesso questo avveniva in maniera informale, davanti a un buon piatto di affettato o polenta e salmì. C’era un grotto che mi piaceva particolarmente, ma non le dirò di più. Scherzi a parte rimpiango quel periodo e non mi piace un Parlamento nel quale ci si parla più addosso che assieme».

Chi la segue sui social, negli scorsi mesi l’ha vista frequentare diversi ristoranti. In quelle situazioni ha sempre visto rispettare alla lettera le direttive anti-coronavirus?
«I social sono croce e delizia, mi sono preso parecchie critiche, anche lo scorso inverno quando andavo con le racchette a due passi da casa mia. Io le regole le rispetto, a darmi fastidio è la mancanza di tolleranza. Nei ristoranti, quando arrivavo, era tutto perfetto e le regole le ho viste rispettare. Semmai è qualche avventore che era poco ligio con la mascherina quando si alzava da tavola».

Alla fine possiamo dire che la ristorazione è stato un po’ il capro espiatorio di una situazione oggettivamente complicata?
«Sì, lo possiamo dire. La decisione di chiudere bar e ristoranti è fondata su degli studi fatti negli USA su molti dati, ma con abitudini ben diverse dalle nostre. Ad esempio da loro, il mordi e fuggi porta anche 7-8 nuclei di clienti passare sullo stesso tavolo per un pranzo o una cena. Da noi solo 1 nucleo, eccezionalmente lo stesso tavolo accoglie un altro nucleo di clienti».

Peggio quindi la massa di persone su treni e bus nell’ora di punta?
«Indubbiamente, anche perché l’igiene di un bus e di un treno non può essere la stessa».

Restando alla ristorazione, in queste feste farà capo al take away?
«L’ho già fatto e se vorremo lo faremo ancora. Ma quando sono a casa mi piace mettermi ai fornelli, mi rilassa e mi diverte. Cucinare è uno dei miei pochi ambiti di creatività: chiamiamolo alleggerimento mentale».

E cosa cucina?
«Il risotto in tutti i modi. L’ultimo era ai mirtilli e champagne».

In cosa sono cambiate le discussioni in Governo tra la prima e la seconda ondata, tra la presidenza di Christian Vitta e quella sua?
«L’equivoco di fondo è che le presidenze fanno sempre capo allo stesso Governo, ad essere mutata è la situazione esterna e la percezione delle decisioni. Vado orgoglioso nel sostenere che in Governo le discussioni sono sempre aperte e franche, ognuno con le sue convinzioni e le sue sensibilità. Arrivare nella seconda ondata con le decisioni della prima, significava ammettere che avevamo capito e imparato poco. A marzo non restava che chiudere tutto perché non si capiva la situazione e tante erano le incognite. Poi l’estate è stata all’insegna della riconquista delle nostre libertà. In seguito si è resa necessaria una nuova chiusura graduale e ragionata. Ovviamente si può sempre fare meglio. Ma sottolineo che i ginevrini, che avevano riaperto dopo il loro “lockdown”, hanno dovuto chiudere ancora la ristorazione».

Ma a metterci la faccia e a dare il ritmo è il presidente…
«Direi che ci mette la faccia, ma dietro ci siamo tutti e cinque. E sottolineo che nessuno di noi ha mai messo in discussione o generato dibattiti pubblici sulle scelte prese. Questa è vera lealtà e io sono fiero di fare parte di questo Consiglio di Stato. È uno dei pochi aspetti belli della pandemia».

Appena le sarà possibile non esiterà a farsi vaccinare, oppure preferisce attendere un po’?
«Non mi farò vaccinare subito. Ma non perché non credo al vaccino, ma perché preferisco che venga somministrato a chi ne ha bisogno, a chi è realmente in pericolo. Almeno fino a quando le dosi a disposizione saranno sostanzialmente poche».

Ma lei si reputa immune?
«Per nulla, sarebbe arrogante sostenerlo. Ma dico che in un Cantone come il nostro, con i tassi più alti, siamo (ad oggi) il solo Consiglio di Stato senza contagi o quarantene. Questo è un dato oggettivo, segno che siamo attenti».

E che dire allora del Consiglio federale che farà in corpore il vaccino?
«Nulla in contrario, ma sa un po’ di azione di marketing. E ha fatto bene a farla».

Dobbiamo ammettere che la nostra vita è cambiata, poi c’è chi soffre e chi no il cambiamento. Lei a quale categoria appartiene?
«A quella che soffre il cambiamento, a questo tipo di cambiamento. Mi manca tastare il polso alla popolazione, mi piacciono i social, ma non mi bastano, adoro il contatto diretto, sui social si vedono piuttosto le tifoserie pro e contro, ma non è il Paese reale».

Appassionato di sport e tifoso dell’Ambrì Piotta, quanto le manca lo stadio e il suo ambiente?
«Mi manca moltissimo, per l’Ambrì (non me ne vogliano i bianconeri) e per il vivere la nostra gente. Inoltre va detto che alla Valascia come alla Cornèr Arena quando potevano esserci i tifosi in numero limitato, il comportamento degli stessi è stato impeccabile. I ticinesi, quando le cose si fanno serie, sono molto responsabili. Lo dico anche a vantaggio di chi, oltre San Gottardo, ritiene spesso il contrario. Tra i ticinesi vedo una gran voglia di tornare alla normalità».

Le capita ancora di pensare al 2015, alla corsa al Consiglio federale fallita?
«È stato un bel ricordo, un’occasione per mettermi alla prova lontano dal Ticino, la mia “comfort zone”. E sono rimasto come punto di riferimento in Ticino, anche per i media che ho imparato a conoscere e spesso mi contattano ancora».

Quale aspetto le provoca ancora un po’ d’amaro in bocca?
«Amaro in bocca non direi. Ma citerei lo sgambetto del PS. Facendo una battuta posso dire che però agli amici socialisti qualche sgambetto l’ho fatto anche io. È il sale della politica».

E cosa di quell’esperienza la fa ancora sorridere?
«Più che sorridere mi ha fatto piacere la gran voglia del Ticino di essere presente a livello federale. Significa che c’è amore per questo Paese, un affetto che molti sono certo hanno riscoperto in questa pandemia. Non sono molti i cittadini che possono andare fieri delle loro istituzioni. La difficoltà di muoverci oltre i confini nazionali ci ha reso più consapevoli delle virtù del nostro Paese e che quanto ci unisce tra svizzeri è ben maggior di quanto ci divide. È la differenza che c’è tra i grandi valori e quelli di dettaglio. Viviamo in una realtà stupenda e troppo spesso ci lamentiamo. Ma poi, molto in fretta, sappiamo tornare sui nostri passi».

Quando prevede non sarà più consigliere di Stato?
«Quando mi annoierò di fare questo lavoro. Ma non è ancora l’ora. Fino a quando ogni giorno troverò un perché mi devo arrabbiare e devo combattere per i miei ideali di svizzero, di ticinese e di leghista, farò di tutto per restare in Governo. Poi a deciderlo saranno i cittadini».

Come si immagina quando non sarà più in Consiglio di Stato?
«Dovrò inventarmi. Ho 43 anni, mettiamo che ne farò ancora sette, arriverò solo a 50 anni. Ma oggi non ci penso».

Un augurio ai ticinesi per il 2021.
«L’anno scorso abbiamo riscoperto il valore della terra, in primavera tutti si sono ritrovati ortolani e attenti al nostro piccolo essere. Davamo tutto per scontato e oggi sappiamo che di scontato non c’è più nulla. Neppure il benessere va considerato inscalfibile. Le cose cambiano, impariamo dai valori imprescindibili: avere cura della nostra terra, che significa avere cura di noi e dei nostri cari. La nostra vita è troppo importante e lo capiamo quando un dramma ci tocca di persona. Guardiamo le cose piccole e di valore. Qualcuno sorriderà, ma io sono legato al passo del montanaro, lento ma non troppo, sicuro, con una cadenza precisa. È quello che ti porta lontano».

****

Dalla gioventù ad oggi
Parlamentare in erba nel 1999

 

Orgoglioso delle sue origini
Norman Gobbi detto «Vais», originario di Quinto, è nato il 23 marzo 1977 a Faido. Nel 2007 si è laureato in Scienze della comunicazione all’Università della Svizzera italiana, ma già nel 2002 l’intraprendenza e lo spirito imprenditoriale lo avevano portato ad avviare un’attività lavorativa quale consulente in comunicazione e marketing. Tra l’altro è stato membro del Consiglio d’amministrazione dell’Hockey club Ambrì Piotta, la sua squadra del cuore. Ma il richiamo della politica è molto forte, al punto che conosce sua moglie Elena alla buvette del Gran Consiglio (dove lei lavorava nel corso delle sessioni parlamentari) quando muove i primi passi da politico.

«Testa dura e tiepida»
Della sua famiglia scrive «sono felicemente sposato con Elena dal 2008 e orgoglioso papà di Gaia e William. Elena, da sempre è la prima persona che mi sostiene in tutte le sfide che decido di affrontare». E aggiunge: «Lealtà, pragmatismo, schiettezza, identità territoriale, amore per la Patria (il nostro territorio e la nostra popolazione): sono i valori su cui ho deciso di costruire le mie posizioni politiche. Testa dura e “tiepida”, sono sempre disposto ad aiutare e apprezzo la sincerità e le amicizie vere. Incontro volentieri le persone, prestando a tutte la medesima attenzione. Sono determinato: quando mi prefiggo un obiettivo mi impegno a fondo nel raggiungerlo. L’ascolto mi consente di entrare in sintonia con le persone con le quali sono in contatto. Mi piace prendere posizione, difendo le mie idee, senza però dimenticare quelle degli altri: c’è sempre qualcosa da imparare. Ho iniziato ad appassionarmi alla politica da ragazzino, già alle scuole medie durante le lezioni di storia e geografia. Una piccola palestra di civica, che mi ha convinto a entrare in politica all’età di 18 anni nella Lega».

In Gran Consiglio
Già in giovane età diventa un po’ la mascotte della Lega, segue le orme di diversi leghisti della prima ora e fa proprie le idee del movimento di Giuliano Bignasca. Nel 1999 viene eletto per la prima volta in Gran Consiglio, gremio che presiederà nell’anno 2008-2009. Politica cantonale ma anche federale, in Consiglio nazionale dove rimane per un anno (2010-2011).

L’anno del balzo in Governo
L’exploit Gobbi lo fa nell’aprile del 2011, quando viene eletto in Consiglio di Stato. È un successo personale, ma anche un momento storico per la Lega che piazza la doppietta in Governo: oltre al confermatissimo Marco Borradori, da quel momento la Lega manterrà la maggioranza relativa nell’Esecutivo cantonale, strappando al PLR il secondo seggio. Per i liberali radicali è una sconfitta che brucia ancora oggi, anche alla luce dei due tentativi falliti nel 2015 e nel 2019 di riprendersi quel seggio. Partito per Lugano Borradori a Bellinzona arriverà Michele Barra (stroncato da un male incurabile un anno dopo la sua entrata in carica). Poi è stata la volta di Claudio Zali, consigliere di Stato in carica. Gobbi nel 2019 risulta il più votato del Governo.

Il sogno infranto del Consiglio federale
La disponibilità e l’abilità del destreggiarsi con il tedesco (e lo Schwyzerdütsch) fanno di Gobbi un politico sempre più in vista a livello federale. Leghista convinto, ma molto vicino all’UDC (al punto di staccare la tessera di partito), convince il primo partito nazionale a considerarlo nella corsa al Consiglio federale. Era il 2015 e il Ticino da anni attendeva il momento buono per piazzare nuovamente un ticinese dopo Flavio Cotti (recentemente scomparso). Ma il 9 dicembre 2015 il verdetto è amaro. L’incarico viene affidato a Guy Parmelin. Il Ticino avrà il suo rappresentante nel 2017 con Ignazio Cassis (PLR).