“È ora di riaccendere la fiamma del Ticino”

“È ora di riaccendere la fiamma del Ticino”

Da Cdt.ch l Consigliere di Stato o consigliere federale? Norman Gobbi è a un bivio. Mercoledì mattina l’Assemblea federale deciderà e c’è da scommettere che anche il Ticino resterà qualche ora con il fiato sospeso. Sia quelli che tifano che quelli che gufano. Ma come vive Gobbi l’attesa? Cosa farà nelle prossime ore? È teso o rilassato? E qual è il ruolo della sua famiglia? Il Corriere del Ticino lo ha intervistato a tutto campo nell’edizione cartacea di oggi. Qui un ampio estratto.
La scorsa settimana l’ha trascorsa più a Berna che in Ticino. Ha iniziato a prendere un po’ confidenza con il Palazzo?

«Già prima di affrontare questa candidatura andavo a Berna una o due volte la settimana per impegni da consigliere di Stato. Diciamo che una certa confidenza con la Berna federale l’ho da tempo, anche perché sono stato consigliere nazionale. Non direi quindi che sto facendo una corsa dell’ultimo minuto».

Martedì scorso è stato un giorno di fuoco con le audizioni dei gruppi PLR e PPD. A caldo non ha voluto esprimersi e ora che è trascorso qualche giorno?

«Sono stati incontri cordiali, al di là delle domande critiche che i giornalisti hanno già fatto nelle scorse settimane, mi sono trovato a mio agio. Diciamo che non mi sono sentito sotto tiro, ma giustamente e legittimamente interrogato per capire come un candidato si posiziona, ma anche come si relaziona».

Era teso o è riuscito ad essere spontaneo e rilassato?

«Proprio rilassato non direi, ma ero comunque sereno. Ho voluto ribadire forte e chiaro quanto sia importante il momento per la Svizzera italiana. Dobbiamo tornare ad essere rappresentati nel Consiglio federale perché i 16 anni trascorsi sono il periodo più lungo nell’ultimo secolo di nostra assenza dal Governo federale. Oggi, più che mai, il Ticino sente la necessità di accendere la fiamma dell’amore che ci lega alla Confederazione».

Qual è stata la domanda che l’ha messa maggiormente in difficoltà?

«Le domande in inglese che mi sono state poste dai gruppi PLR e PPD sono state particolari. Credo comunque di aver dimostrato di sapere rispondere alle sollecitazioni anche in una lingua importante, pur non essendo tra quelle nazionali».

E quale situazione è riuscita a strapparle un sorriso o una risata?

«Sempre una domanda in inglese, posta da un membro del PLR che, pur leggendo da un foglio il quesito, ha fatto qualche piccolo errore e gli ho fatto presente (in inglese) che avevamo le medesime difficoltà con questo idioma. L’ho fatto in maniera spontanea e ironica ed è stato un momento di relax con una bella e sana risata da parte di tutti».

Sul fatto che lei sia e si senta leghista, ma che è convinto di rappresentare l’UDC, crede di avere convinto gli interroganti?

«Molti osservatori lo ritengono un mio punto debole. La realtà è che sono candidato ufficiale dell’UDC al Consiglio federale e che il gruppo UDC alle Camere mi ha scelto con 72 voti su 81. Mi sembra sufficiente. Inoltre dal 2003 Lega e UDC collaborano sotto la cupola di Palazzo e sono profondamente uniti da valori come la libertà, l’indipendenza, la sicurezza e il benessere della nostra Patria».

Nella sua permanenza nella capitale quante mani ha stretto? Con quanti parlamentari si è intrattenuto?

«Tanti conosciuti e tanti rincontrati. È stato positivo, anche perché la scelta che fanno deputati (ndr. a scrutinio segreto) è strettamente personale. L’empatia, credo, conti. E non poco».

I suoi detrattori sembrano un po’ stanchi. Forse perché la loro azione per screditarla non pare aver avuto grande eco?

«Non tocca a me giudicare chi mi critica, è una loro libera scelta. Già per le cantonali ero stato criticato e la miglior risposta sono stati i 73.540 voti personali che ho ricevuto. Piuttosto voglio sottolineare il sostegno unanime da parte del Consiglio di Stato e quello dell’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio. Un sostegno che non era dovuto, ma che ho fortemente apprezzato perché da un cappello istituzionale alla mia candidatura. Li ringrazio ancora, come pure ringrazio i tanti cittadini che ormai da settimane mi stanno esprimendo la loro vicinanza».

Per l’occasione ha anche aperto gli album di famiglia. Come mai? In passato era sempre stato molto riservato nel proteggere moglie e figli?

«La separazione tra famiglia e politica c’è ancora. Tengo molto ai miei affetti familiari e li tutelo sempre dalla mia azione politica. Ma è comprensibile che ci fosse un interesse da parte dei media d’oltre San Gottardo verso questa dimensione non nota, per capire chi è l’uomo (non politico) Norman Gobbi. Sono anche il solo padre di famiglia che si candida, quindi con una dimensione familiare compiuta. Insomma, lasciatemelo dire, colui che viene definito da alcuni come l’orco della politica cantonale, non mi sembra sia proprio un diavolo».

In Consiglio di Stato aveva fortemente voluto il Dipartimento delle istituzioni e, nel 2011, evitato quello dell’economia e delle finanze. Ora è proprio la casella che resterebbe scoperta con l’addio di Eveline Widmer-Schlumpf. Oggi se la sentirebbe di assumerne la responsabilità?

«Sono decisioni che vengono prese collegialmente. È noto che ci sono consiglieri federali in carica interessati ad altri dipartimenti. Ogni consigliere federale deve essere pronto ad ogni evenienza».

Domani, martedì 8 dicembre, la sera della vigilia, la cosiddetta notte dei lunghi coltelli, dove la trascorrerà?

«Con i giornalisti, mi verrebbe da dire! Ho difatti una lunga serie di richieste da parte dei media. Dopodiché, trascorrerò la serata con la mia famiglia che mi raggiungerà a Berna per starmi accanto».

A Berna arriverà anche il fan Club di Lega e UDC. Ha organizzato lei?

«No, è stata un’iniziativa spontanea che, ovviamente, mi riempie di gioia e per questo li ringrazio per il loro supporto».

Gianni Righinetti

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