Violenza domestica, “bisogna fare di più”

Violenza domestica, “bisogna fare di più”

Frida Andreotti, direttrice della Divisione giustizia del DI: “Istituzioni impegnate a combattere questa piaga sociale. Emerge solo il 20-30% dei reati”

Il Consiglio di Stato ticinese presenta oggi (mercoledì) il piano d’azione cantonale contro la violenza domestica. Lo scopo è combattere una piaga sociale che fa registrare numeri ancora troppo alti. La RSI ne ha parlato con Frida Andreotti, direttrice della Divisione giustizia del Dipartimento delle Istituzioni:

Questo piano risponde effettivamente alle aspettative?
“Sì. Quello che fa (e per la prima volta) è esporre una fotografia di tutti gli attori nel settore della violenza domestica attivi nel Canton Ticino”.

In Svizzera ogni due settimane avviene un femminicidio, ogni settimana un tentato femminicidio. I reati denunciati ogni anno sono 20’000, e sono cifre in aumento. Per quanto riguarda il Ticino, la polizia registra ogni giorno, in media, tre interventi per violenza domestica. Sono numeri impressionanti e, tra l’altro, siamo di fronte alla punta dell’iceberg…
“Sì, i reati che emergono sono solo il 20/30%, non solo in Svizzera, ma anche in tanti Stati europei. Questa è la percentuale. E deve essere uno stimolo a fare di più. Proprio per questo è stato ideato il piano d’azione”.

In occasione della recente conferenza nazionale sulla violenza di Berna, la consigliera federale Karin Keller-Sutter ha detto che, con la sola legge, non si possono evitare i reati e la violenza. Servono miglioramenti nelle collaborazioni tra le autorità, nel riconoscimento tempestivo della minaccia e nella sua gestione. Come si riconosce la minaccia?
“La consigliera federale si riferiva al tema della gestione della minaccia, che è anche uno degli assi del Piano d’azione cantonale, è quello che è gestito dagli specialisti, anche la polizia cantonale del Ticino, tramite il gruppo di prevenzione ed educazione, si occupa di seguire i casi di persone pericolose, anche autori di violenza domestica”.

E se invece ci mettiamo nei panni di quelle donne che devono riconoscere la minaccia?
“Mi sento di dire alle donne che vivono il tema della violenza domestica, di non sottovalutare certi segnali, che vengono da parte della persona che hanno accanto. E dico loro anche che le istituzioni ci sono, sono presenti, per ascoltarle, per sostenerle e faremo in modo di farle conoscere ancora più di oggi, grazie anche al piano d’azione cantonale”.

Quanto accaduto recentemente a Solduno ha riaperto diversi interrogativi. La vittima, giovanissima (22 anni), aveva segnalato le minacce e aveva anche detto che era seguita dal suo aggressore. Era stato emesso un ordine restrittivo nei confronti dell’uomo. Dal primo gennaio le autorità potranno decidere di applicare un braccialetto elettronico agli autori di violenza domestica è stalking. Quali sono i limiti e le opportunità di un braccialetto elettronico di questo tipo?
“Allora va subito detto che ci troviamo in ambito civile e non penale. Significa che è una misura per controllare la posizione di una persona, non per evitare che succeda qualcosa. La vittima non è tutelata, perché il braccialetto ha una sorveglianza “non attiva”, la polizia non interviene nell’immediato. Quando suonerà un allarme non interverrà nessuno. Quindi in caso di pericolo questo braccialetto non verrà dato”.

Allora perché non pensare a una situazione attiva, in cui è la donna che aziona il braccialetto elettronico, come avviene in Spagna? Perché non si può introdurre anche da noi?
“Attualmente in Svizzera per legge è possibile solo la sorveglianza passiva. In futuro potrà essere aperta la sorveglianza attiva. A gennaio vi sarà una visita di una delegazione del Dipartimento per la giustizia in Spagna, proprio per valutare il loro sistema. Oggi non è possibile non solo perché non c’è una legge che lo permette, ma anche perché abbiamo sistemi elettronici per l’uso di questo tipo di braccialetto che non lo permettono. Questo non vuol dire che in futuro non si potrà cambiare”.

Secondo uno studio pubblicato un paio di settimane fa e realizzato dall’organizzazione mantello delle Case per donne maltrattate, la metà degli intervistati (circa 3’500) ha detto di non conoscere i consultori presenti sul proprio cantone e il servizio di aiuto alle vittime. Come istituzioni come leggete questo dato? Le strutture ci sono e la gente non le conosce. Manca la comunicazione?
“Dobbiamo fare di più. E con questo piano d’azione, che fa una fotografia di tutti i servizi e gli attori presenti a livello cantonale che lottano contro le violenza domestica, intendiamo procedere con la comunicazione, per fare in modo che le persone sappiano a chi rivolgersi in base alle necessità che hanno. Dobbiamo anche valorizzare tutte le persone che da anni si occupano del tema”.

Io ricordo volentieri che il numero di telefono per il servizio per l’aiuto alle vittime di reati è lo 0800 866 866. Da molto tempo però si chiede che venga istituito un numero a tre cifre, più veloce, immediato e magari che risponda H24. Perché non si fa?
“Si farà, per una decisione presa dal Dipartimento federale di giustizia e polizia, unitamente ai direttori dell’ambito della sanità e socialità e giustizia e polizia. Non si sa ancora quando. Va però detto, a chi ha bisogno, che in ogni Cantone ci sono numeri ad hoc per le vittime che sono a disposizione durante la giornata e la sera, i consultori delle case delle donne, in Ticino “La casa delle donne” e “Casa Armònia”, che forniscono anche una consulenza telefonica, quindi ci sono tante persone a disposizione per ascoltare chi ha bisogno”.

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Violenza-domestica-bisogna-fare-di-pi%C3%B9-14888889.html 

Da www.rsi.ch/news